martedì 17 dicembre 2019

Guccini "rispiega" la Locomotiva a Zoro

“Il Resto del Carlino” del 21 luglio 1893

"Poco prima delle 5 pomeridiane di ieri, l'Ufficio Telegrafico della stazione (di Bologna) riceveva dalla stazione di Poggio Renatico un dispaccio urgentissimo (ore 4,45) annunziante che la locomotiva del treno merci 1343 era in fuga da Poggio verso Bologna. Lo stesso dispaccio era stato comunicato a tutte le stazioni della linea, perché venissero prese le disposizioni opportune per mettere la locomotiva fuggente in binari sgombri dandole libero il passo in modo da evitare urti, scontri o disgrazie.... Capo stazione, ingegneri e personale del movimento furono sossopra e chi diede ordini, chi si lanciò lungo la linea verso il bivio incontro alla locomotiva che stava per giungere. Non si sapeva ancora se la macchina in fuga era scortata da qualcuno del personale; e solo i telegrammi successivi delle stazioni di San Pietro in Casale e Castelmaggiore, che annunziavano il fulmineo passaggio della locomotiva, potevano constatare che su di essi stava un macchinista e un fuochista. Ma la corsa continuava e la preoccupazione alla ferrovia cresceva ...“All'epoca già confluivano alla stazione di Bologna quattro importanti linee ferroviarie e i binari di stazione erano soltanto cinque. In quell'ora i binari erano ingombri per treni in arrivo e in partenza Non c'erano sottopassaggi. La inevitabile concisione dei dispacci telegrafici impedì di comprendere chiaramente la situazione. Per evitare guai maggiori la locomotiva venne instradata sul binario cosiddetto "2 numeri", un binario tronco sulla destra, più o meno dove oggi c'è il fabbricato delle Poste. Allora c'erano le tettoie della gestione merci.

”Alle 5,10 [la locomotiva] entrava dal bivio e passava davanti allo scalo, fischiando disperatamente, con una velocità superiore ai 50 km. Sulla macchina c'era un uomo che, invece di dare il freno, cercare di fermare, metteva carbone.... Era un uomo che correva, che voleva correre alla morte! Il personale lungo la linea agitando le braccia, gridando, gli faceva cenno di fermare, di dare il freno; taluno gli urlò di gettarsi a terra, ma egli rimaneva imperterrito nella locomotiva. Un esperto macchinista, il Mazzoni, che era lungo la linea e lo vedeva correre incontro a morte sicura, gli gridò: "buttati a terra!"; ma il giovanotto - che giovane era lo sciagurato - dalla banchina a lato della piazza tubolare della caldaia tenendosi alla maniglia di ottone, si portò sul davanti della locomotiva sotto il fanale di fronte, attaccato sempre alla maniglia e colla schiena verso la stazione dov'era il pericolo.”La locomotiva andò quindi a sbattere contro la vettura di prima classe ed i sei carri merci che si trovavano in sosta sul binario tronco alla velocità di 50 chilometri orari."Al momento dell'urto egli era sulla fronte della macchina e i presenti che lo videro esterrefatti passare dinanzi a loro affermano che proprio al momento dell'urto egli si sporse in fuori, volgendo la testa verso la vettura, contro alla quale andava a dar di cozzo. L'urto, disastroso per la macchina e i carri, fu tremendo per l'uomo. Egli rimase preso fra la macchina e il vagone di la classe schiacciato orribilmente. Accorsero funzionari delle ferrovie, di P.S., guardie, personale viaggiante e manovali e il disgraziato fu tosto riconosciuto. È certo Pietro Rigosi di Bologna, di anni 28, fuochista da parecchi anni e buon impiegato... a Poggio Renatico, mentre il macchinista Rimondini Carlo era sceso un momento, il Rigosi aveva sganciato la locomotiva del treno merci e poi l'aveva lanciata a tutta velocità legando la valvola del fischio, per modo che destò l'allarme per tutta la corsa. Avrebbe potuto pentirsi durante il tragitto e dare il freno (che funzionava bene anche dopo la catastrofe) ma egli non volle. Probabilmente un'improvvisa alterazione di cervello che lo rese crudele contro se stesso, perché, per quanti pensieri di famiglia egli avesse, non giustificavano certo un tentativo di suicidio che poteva costare la vita a molte altre persone.”

venerdì 6 dicembre 2019

Zoro in via Paolo Fabbri 43 intervista Guccini sulle prossime elezioni regionali a Bologna

Venerdì 6 dicembre, su La 7, a partire dalle 21,10 la puntata di Propaganda Live, condotta da Diego Bianchi in arte Zoro, in cui sarà trasmessa una NUOVA intervista a Francesco Guccini. Tema: le elezioni per il rinnovo del consiglio regionale in Emilia Romagna.

Questa la precedente intervista, a Pavana

martedì 29 ottobre 2019

Signor Fantasy

Guccini sul murale di TvBoy

Guccini su un gommone in mezzo al mare, a Bologna il murale di TvBoy (eikon) Il Maestrone torna a casa, o lì vicino. È apparso nella notte tra via Libia e via Sabbatucci, a pochi metri da quel 43 di via Paolo Fabbri, un murales che ritrae Francesco Guccini attorniato da tredici big della musica italiana. E stamattina il cantautore vi ha fatto visita, vedendolo anche lui per la prima volta. L’opera, firmata dallo street artist TvBoy (noto per il disegno del bacio tra Salvini e Di Maio), rappresenta la copertina del disco “Note di viaggio. Venite avanti” di cui uscirà il 15 novembre la prima parte e che conterrà reinterpretazioni di brani storici di Guccini firmate da Ligabue, Manuel Agnelli, Malika Ayane, Samuele Bersani, Brunori Sas, Luca Carboni, Carmen Consoli, Elisa, Francesco Gabbani, Giuliano Sangiorgi, Margherita Vicario e Nina Zilli. Tutti raccolti attorno al Maestrone a bordo di un gommone in mare, un riferimento alle tragedie dei migranti. “Molte canzoni di Guccini rappresentano la mia poetica, che racconta temi sociali caldi, mi piaceva l’idea di lanciare un messaggio attuale di cui anche lui ha in qualche modo parlato, spero sia un’opera che segni un momento e rimanga nella memoria”, spiega Tvboy, che nella notte oltre a questo murales istituzionale, commissionato dalla casa discografica Bmg coi permessi del Comune, ne ha disegnato un altro, spontaneo, in via San Vitale. Raffigurato, in quello, Guccini con in mano il cartello “Venite avanti”. di LUCA BORTOLOTTI; fotoservizio GIANLUCA PERTICONI/Eikon studio

L'Avvelenata - il video

Inizia da

lunedì 2 settembre 2019

Francesco presenta il suo ultimo romanzo "TRALUMMESCURO"

Venerdi 13 settembre 2019 alle ore 21.00, presso la Festa dell'unità di Bologna - presentazione dell'ultimo romanzo "TRALUMMESCURO" con Paolo Varesi e Gabriella Fenocchio.
Francesco nell'occasione riceverà la targa "Volponi"
“Noi da queste parti abbiamo un nome per quest’ora,un’ora che è di tutti, un’ora che è pace e presagio. La chiamiamo “Tralummescuro”: tra la luce e la notte. Lungo la montagna vedi la linea d’ombra che sale lenta lenta, e poi viene il buio”.

giovedì 4 luglio 2019

Teresa Guccini al Festival Gaber: "Giorgio e Francesco, onestà e coraggio".

Oltre a Camaiore anche Montecatini, Pistoia e Livorno hanno aderito al Festival Gaber 2019.

A Montecatini, alle Terme Tamerici, sarà l’occasione per mettere Giorgio Gaber in relazione ad altri due importanti cantautori nazionali: Fabrizio De Andrè e Francesco Guccini.

Il 16 luglio Gaber Guccini: onestà a coraggio con Teresa Guccini, figlia di Francesco, e Paolo Dal Bon;

il 23 luglio Gaber Faber con Giulio Casale per onorare i vent’anni dalla scomparsa del grande Fabrizio, e il 30 luglio Gian Piero Alloisio sarà il protagonista de il mio amico Giorgio Gaber.

A Pistoia, il 26 luglio, alla Fortezza Santa Barbara sarà la volta di Per fortuna c’è Giorgio Gaber, spettacolo itinerante con gli artisti pistoiesi cui seguirà un lungometraggio Giorgio Gaber: io ci sono, realizzato con le immagini di repertorio della Fondazione.

Il 2 agosto, a Livorno, nell’ambito della prestigiosa rassegna Effetto Venezia, Gaber Guccini: onestà e coraggio con Teresa Guccini e Paolo Dal Bon.

Radio Italia è la radio ufficiale del Festival Gaber.

martedì 2 luglio 2019

Guccini e Vecchioni, una lunga amicizia

Si conobbero a Sanremo a metà anni ’70. Racconta Vecchioni, “Pioveva, entrai all’Hotel des Etrangers e lo vidi nell’atrio, un personaggio immenso seduto in poltrona. Ci presentò Amilcare Rambaldi. Lui mi disse: ho sentito una tua bella canzone, quella che parla dello stadio e della partita di calcio. Stava sfottendo ‘Luci a San Siro’. E io: anch’io ho sentito quella tua del trenino che va a spaccarsi e non è male”. fonte M.T.Gulli

giovedì 30 maggio 2019

"Adoro i brustolini e non conosco le osterie!"

21 Maggio 2019 intervista di Sorrisi e Canzoni - Alex Adami

Non è facile scovare Guccini nella sua Pavana. Usciti dall’autostrada a Bologna c’è da guidare ancora un’ora sulla strada che si arrotola sulle colline in direzione Pistoia tra boschi, paesini e trattorie per camionisti abbandonate da anni. Sul più bello, poi, la statale s’interrompe per una frana e ciao, bisogna parcheggiare la macchina. È maggio ma a Pavana, 400 anime, c’è ancora un po’ di neve.
Francesco Guccini divide con altre famiglie una vecchia casa rustica ma elegante. L’appartamento in cui vive con la moglie Raffaella trabocca di libri, la loro grande passione comune. C'è un buon odore di edificio di campagna: un misto di calce, umidità e fumo di camino. Dalle finestre del stanza da pranzo si vedono le colline e, nei momenti di silenzio, s'intuisce il fruscio lontano del fiume.

Arrivare fin qui scoraggerà i fan.
«Mah. A dire il vero arriva gente di continuo. Per salutarmi, per una foto, per l’autografo. A volte mi nascondo».

E cosa le dicono, i fan?
«Mi ricordano aneddoti su concerti che nemmeno ricordo d’aver fatto. Molti mi raccontano che le mie canzoni hanno un ruolo fondamentale nella loro vita. Quasi tutti».

Quando ho detto ai miei amici che sarei venuto a trovarla anche loro mi hanno chiesto di dirle la stessa cosa. E di ringraziarla.
«Di cosa? Sono innocente».

Perché è tornato a vivere in questo posto sperduto?
«Una volta non era come lo vede adesso, sa? D’estate al fiume era pieno di ragazzi, c’erano villeggianti, piste da ballo, perfino un cinema. Al fiume c’è ancora il mulino di mio nonno, dove vivevo con tutta la famiglia quando siamo scappati da Modena ai tempi della guerra».

Non ha mai voglia di tornare in città?
«No. Succede che abbia impegni in giro per l’Italia, ma torno qui sempre molto volentieri. Il rammarico semmai è d’essere tornato a Pavana troppo tardi, quando ormai il paese si era svuotato».

Come passa il tempo da queste parti?
«È stato qui, ancora ragazzino, che ho iniziato a leggere voracemente di tutto. Di tutto, nel vero senso della parola: dai sussidiari di scuola del nonno ai romanzi d’appendice che collezionava mia zia. Lei era l’intellettuale di famiglia, aveva viaggiato. Faceva la cameriera da una famiglia di Genova. Raccoglievo in giro anche le storie d'avventura francesi di quelle che uscivano con i settimanali per ragazzi, solo che mancavano sempre dei pezzi: i protagonisti alla fine di una puntata erano su un aereo diretti verso un'isola deserta e la settimana dopo mne li ritrovavo tra i cunicoli di una miniera senza capire perché. Ma pur di leggere mi andava bene tutto. Ora purtroppo ho dei problemi di vista e non posso più leggere. Un dolore: è tutto molto più complicato».

Tutti i bei libri che sono in questa casa chi li legge?
«Di pomeriggio viene una ragazza a leggere ad alta voce per me. E la sera è Raffaella che mi legge delle pagine prima di dormire. Anche lei è appassionata di letteratura. Ora siamo su Gianrico Carofiglio. Ma sul tardi, dopo aver guardato qualcosa in tv. Ci piacciono le serie».

Le sue preferite?
«“I Tudors”, “Vikings”, “Das Boot”. Di pomeriggio, poi, mi guardo Rai Storia da solo».

E di musica ne ascolta?
«No. In casa sento quello che mette mia moglie. Zucchero, Capossela, Fabri Fibra».

Niente Guccini?
«Quando Raffaella prova a mettere una mia canzone gliela faccio subito togliere».

Non ha un buon rapporto con le sue canzoni?
«Ho un ottimo rapporto. È che non mi va di sentirle».

Ora esce la sua discografia in vinile. Se lo ricorda il primo Lp che ha comprato?
«Era strumentale, di armonica a bocca: pagato con 50 lire che mi aveva dato mia nonna. Il mio entusiasmo durò poco, perché non avevo un giradischi. Ed ero triste perché non avevo più le mie 50 lire».

La sua prima chitarra?
«Me la regalò mia nonna, la fece costruire al falegname di Porretta, Celestino Venturi, per 5.000 lire. Tra l'altro Celestino è ancora in circolazione, devo ricordarmi di chiamarlo».

La prima canzone che ha scritto?
«Ho fatto le magistrali e c’erano due ore di musica a settimana. Decisi di cimentarmi con il pianoforte perché era la scelta fatta dalle ragazze più carine della scuola. Un giorno dissi alla mia insegnante: “Lo sa che ieri ho scritto una canzone?”. E lei, cinica: “Sì, certo, anch’io in passato ho creduto d’averlo fatto”».

La storia ha poi smentito la sua professoressa.
«Ma aveva ragione, quella mia canzone era terribile. Una scopiazzatura di “Only you” dei Platters con un improponibile testo d’amore».

Non le viene mai voglia di scriverne una nuova?
«No. E non sono mai riuscito a scrivere a comando. Le canzoni arrivavano quando arrivavano. Come per uno scrittore. In fondo è lì che sono tornato (il suo prossimo libro uscirà in autunno, ndr). E forse lì avrei dovuto iniziare».

Cosa la rende felice, a parte i libri?
«Andare a funghi nel bosco, ma ormai non li vedo più... E mi piace uscire a cena: per esempio ora è tempo di tagliatelle con i prugnoli, ii secondi funghi dell'anno dopo il disgelo. Anche se in trattoria Raffaella mi tiene a stecchetto, ormai. Un paio d’anni fa mi ha pure fatto smettere di fumare, nonostante l’avessi avvisata: guarda che sarò irritabile per un po’. Mi hanno aiutato i brustolini (i semi di zucca tostati, ndr). Che buoni, i brustolini. Una volta al cinema c’erano solo quelli. Monrtagne di brustolini tra le quali dovevi farti strada per guadagnare un posto in platea. Mica come ora che entri e senti quell’odore nauseante di popcorn».

E poi fuori dalle sue finestre c'è il paradiso.
«Sì, ma io soffro a vedere il passaggio delle stagioni. Da un lato mi affascina, dall'altro mi immalinconisce. Per esempio, dal prossimo mese le giornate inizieranno già ad accorciarsi. E questo mi fa soffrire».

Che cosa la fa ridere, invece?
«Le barzellette, da sempre. Ma ora non vanno più di moda e da tanto tempo non ne sento una buona».

Domanda interessata: c’è una buona osteria in zona?
«Mi faccia sfatare questo mito: io non m’intendo di osterie. Conoscevo le tre di cui ho sempre parlato. Punto».

Com’è nata la leggenda?
«Diciamo che a parte i dischi d’esordio io, registrata la mia parte, lasciavo che fossero i musicisti a pensare al resto. Non sono mai stato un precisino, non stavo lì a spaccare il capello per ogni suono. Realizzare i miei dischi costava poco tempo e poco denaro, e questo faceva aprire i cordoni alla casa discografica per la nota spese. Che veniva largamente usata per cenare con gli amici durante il periodo delle registrazioni».

Almeno il palco le manca?
«A volte sì. Mi manca quella botta d’emozione davanti a migliaia di persone. Ma metteva anche ansia. E ho imparato che si può fare a meno di quasi tutto. Pensi, non ho mai avuto un cellulare».

Vede qualcuno dei suoi colleghi?
«Capita che passino di qui, magari per farmi sentire le loro nuove canzoni. E poi ogni tanto ci invita Zucchero a casa sua. È sempre bello. Alla fine ci mettiamo a cantare con la chitarra».

Mai quelle di Guccini, però.
«No, mai quelle di Guccini».

Però questa cosa è strana da mandar giù, lo sa?
«Le spiego, allora. Mio nonno aveva un mulino giù al fiume. C'è ancora adesso, se vuole andarlo a vedere, l'ha ristrutturato un cugino. Il nonno lo usava per fare la farina di mais e di castagne, che poi era ciò che ci nutrì durante la guerra. Lei mi dirà: “Con la farina di castagne si preparano un sacco di cose buone”. Sarà, ma io ne ho avuto la mia parte, grazie. Lo stesso vale per le mie canzoni».

Ce n'è una in particolare che lei giudica sopravvalutata?
«“L'avvelenata” neanche la volevo inserire nell'album, furono i miei musicisti a convincermi. Credo che sia diventata famosa solo per via delle parolacce nel testo. Ma in generale tutti mi parlano sempre delle solite tre o quattro, che per me non sono le più belle: “Dio è morto”, “La locomotiva”, “Incontro”.

Mi dica le sue preferite».
“La canzone delle domande consuete” e, in questo periodo, “Bisanzio”. «“Bisanzio” è una canzone robusta. Lo sa perché quel verso dice: “Che importa questo mare se era azzurro o verde”?».

Ehm. No.
«Erano i colori delle due fazioni all'epoca di Giustiniano a Bisanzio. In realtà contiene parecchie inesattezze storiche e qualche accavallamento cronologico. Ma trasmette il senso di indeterminatezza, di fine di un'era. Che poi era ciò che volevo rappresentare».

Una volta ha detto che ascoltando “Luci a San Siro” di Vecchioni ha pensato: «Maledizione, perché non l’ho scritta io». L’ha pensato spesso, nella sua carriera?
«Mille volte».

L’ultima?
«Non saprei dirle. Ma una di quelle che me l'ha fatto dire spesso è stata “Come è profondo il mare” di Lucio Dalla».