lunedì 15 febbraio 2010

Hey JOE

Homo Bononiensis

reportage de La Stampa 15.2.2010
Così lo scandalo Delbono ha annientato il mito dell’amministrazione-modello
MICHELE BRAMBILLA INVIATO A BOLOGNA
A Bologna non si sorprendono che il primo scioglimento di un consiglio comunale sia avvenuto in seguito a una liaison dangereuse. Qui sulle femmine si è sempre stati un po’ fragili. I vecchi ricordano ancora, ad esempio, il corteo di protesta organizzato nel 1964 dai tifosi rossoblù per i tre punti di penalizzazione inflitti in seguito a infondate accuse di doping. Dal bar Otello di via Orefici partirono in cento, diretti alla sede del Bologna Football Club, che era allora in via Testoni. Ma dopo pochi metri, davanti a San Petronio, due manifestanti si staccarono, avendo notato una turista svedese. All’inizio di via Ugo Bassi le defezioni erano già una decina, tutte a causa di qualche sottana da seguire. Alla sede di via Testoni, assicurano i testimoni, arrivarono in tre...

giovedì 11 febbraio 2010

11 febbraio a Firenze concerto Guccini gratis



Per ricordare la liberazione di Mandela e protestare contro la xenofobia
La CGIL Toscana e il Mandela Forum chiamano i cittadini a manifestare alle 21 al MandelaForum (davanti allo stadio Franchi).
Prevista la presenza del segretario generale Epifani.
Sul palco si alterneranno Francesco Guccini, Nada, Paola Turci, Paolo Hendel.

Recensione - Il Foglio 10/2/2010 -di Annalena Benini


10 febbraio 2010
Sarà anche pudica, ma non è un’autobiografia
La delusione di leggere Guccini in cerca di amori e trovare soltanto lagne

Se si ha molto “pudore e un’inusitata ritrosia”, se non si ama parlare del proprio lavoro, delle proprie canzoni e della propria vita, se si sbuffa quando qualcuno fa una domanda che vada oltre il dramma della scomparsa delle osterie in Emilia, la soluzione non è complicata: si può evitare di scrivere un’autobiografia. Perché se una fan di Francesco Guccini, che continua ad ascoltare le sue canzoni nonostante ci sia subito qualcuno pronto ad alzarsi in piedi di scatto, imitare la voce con la erre gorgogliante e dire cose alla rinfusa tipo: la locomotiva, la rivolta, le cicche e il vino rosso, trionfi la giustizia proletaria, il progresso è cattivo, beviamoci un fiasco, se insomma una che lo ama ancora compra “Non so che viso avesse – la storia della mia vita” di Francesco Guccini (Mondadori, 18 euro), poi si aspetta di trovarci davvero la sua vita, o almeno qualcosa di personale, una pena d’amore dopo i dodici anni d’età, un litigio, una figuraccia, una storia non ancora sentita.

Non soltanto la descrizione del mulino del bisnonno e della latrina in comunicazione con il pozzo nero, non di nuovo il racconto della povertà, niente soldi per andare al cinema, niente soldi per le sigarette, e anche sua mamma per tutta la vita “attenta al centesimo”, mai andata da nessuna parte, solo in viaggio di nozze a Firenze dissetandosi alle fontane (ma Guccini ha successo dagli anni Sessanta, sua mamma era ancora giovane: il figlio grato e famoso l’avrà portata un po’ in giro, si spera, le avrà fatto dei regali, gli emiliani taccagni sono insopportabili).

Insomma persino Eugenio Scalfari ne “L’uomo che non credeva in Dio” ha raccontato che da bambino faceva vestitini per le bambole all’uncinetto e da grande ha avuto una vita sentimentale turbolenta, Gad Lerner in “Scintille” ha rivelato la rivolta totale contro suo padre, Marguerite Duras ha scritto che pensava tutto il tempo ai soldi e che il suo famoso amante indocinese le faceva schifo ma pagava lo champagne, invece Francesco Guccini non scuce niente di niente a parte la solita storia della vita semplice con il burro fatto in casa, un paio di articoli di quando faceva il giornalista alla “Gazzetta dell’Emilia” (ecco, quelli non erano necessari) e gli esordi come cantante di balera (ovviamente povero, niente soldi per la benzina, niente soldi per gli amplificatori, niente soldi per portare fuori una ragazza, “vita grama”: mai oserei dare di bamboccione a Guccini, che ha quasi settant’anni, però lamentoso sì).

Ma la cosa più assurda, per chi ha comprato un libro con la scritta in copertina: Francesco Guccini, è che dopo 113 pagine, cioè esattamente a metà autobiografia, compare la scritta: “Questa è un’autobiografia scritta a quattro mani. Francesco Guccini, per pudore e inusitata ritrosia, non ama parlare del proprio lavoro e soprattutto delle proprie canzoni, perciò dà la parola all’italianista, e amico, Alberto Bertoni”. Che fa l’esegesi dell’opera “del Guccini”, definendolo “autore scomodo”, “invidiato anche da poeti con quattro quarti di nobiltà”, una sviolinata imbarazzante per ringraziare il ritroso Guccini della sua mostruosa pigrizia: impegnato a vivere meravigliose avventure e grossi intrighi che mai rivelerà, non ha avuto il tempo di arrivare in fondo al libro. Unico dettaglio concesso: “Nel dicembre ’78 sono diventato padre”. L’italianista è più generoso: “Dopo la nascita della figlia, nel ’79, Francesco si ritira dalla scena bolognese per accudire Teresa nella tranquillità appenninica di Pàvana”. Le date sono sbagliate perché anche i correttori di bozze erano molto ritrosi e molto pudichi.

C'è bisogno di parole che non dice mai nessuno..

lunedì 8 febbraio 2010

Guccini al Mandela, 11 febbraio 2010

Ho visto oggi Sergio Staino che spiegava qualche dettaglio della gran festa per Mandela. Presenta Paolo Hendel, che però non farà CarCarlo Pravettoni (il parlamentare del gruppo "dell'asfalto che ride") e Guccini partecipa entusiasta con qualche pezzo in compagnia di Juan Carlos Flaco Biondini, che per l'occasione canterà un suo pezzo.

Una storia d'amore. 1967

Considerato che la componente autobiografica è presente in ogni canzone di Guccini, il candidato indichi quale secondo lui è la stazione ferroviaria indicata dall'autore in questa canzone composta anonimamente nel 1967: Porretta Terme, Bologna, Modena, Carpi, Suzzara, Mantova o Firenze? Cinque ore di tempo.


Pare che a Guccini sia piaciuta

La Stampa 6 feb 2010

intervista di FRANCO GIUBILEI

Pàvana dell’infanzia, con il mulino di famiglia e mamma Ester che avrebbe voluto diventasse un professore di Storia, mica un cantautore. Modena e la scena beat Anni Sessanta, nata quasi per caso dalle bande musicali di balera dove suonava indossando improbabili giacche a scacchettoni in complessi «un po’ così, alla va là che va bene». La Bologna delle osterie di fuori porta che ormai non ci sono più da un pezzo, perché sono morte, ma per le quali «è inutile piangere sul latte, pardon, sul vino versato». E poi ancora Pàvana, il borgo dell’Appennino dov’è tornato a vivere dieci anni fa perché «il cerchio si sta chiudendo e a un certo punto si torna là da dove si è partiti, al luogo che ha fatto e continua a far sognare», riflette a mezza voce Francesco Guccini, tanto raffreddato da aver dovuto rimandare il concerto di ieri a Pesaro.

Più che un’autobiografia in senso stretto, è un racconto di luoghi e di sapori perduti, come gli umidi cucinati dalla nonna che gli regalò la prima armonica a bocca e la prima chitarra, Non so che viso avesse. La storia della mia vita, appena uscito per Mondadori, con quel titolo che riprende il celebre attacco della Locomotiva: «Come se in vita mia avessi scritto solo quella e altre tre canzoni», brontola Guccini cercando di tenere a bada il gatto di casa. Poi gli chiedi come gli sia venuto in mente di scrivere un libro su di sé, lui che ha sempre fatto canzoni e, semmai, dei romanzi – «Sto scrivendo un nuovo giallo in coppia con Loriano Macchiavelli lavorandoci un po’ svogliatamente» - e il cantautore risponde papale papale che «me l’hanno proposto e mi ci sono trovato quasi mio malgrado. E siccome sono pigro, per invogliarmi mi hanno anche detto che Alberto Bertoni (autore della seconda parte del libro, ndr) aveva già scritto un mucchio di cartelle».

Cominciamo da Pàvana allora: cosa è stata nel passato e cosa rappresenta ora?
«È stato il luogo centrale della mia infanzia: io sono nato a Modena ma sono venuto qui da piccolissimo, per poi andare via, ritornarci dieci anni fa e continuare a viverci. È il luogo mitopoietico al quale ritornare, anche perché il cerchio si sta chiudendo e questo è il luogo che mi ha fatto e continua a farmi sognare. D’altra parte la città è ancora più inquinata di una volta, invece questo posto è ancora abbastanza integro, anche se i contadini di sopravvivenza non ci sono più e oggi ci sono gli immigrati, che non danno alcun fastidio».

Lei però ogni tanto scende a valle, a suonare dal vivo anche La locomotiva, il cui incipit dà il titolo al libro e che i ragazzini ascoltano ancor oggi col pugno chiuso alzato.
«È il mio mestiere, nessuno mi obbliga a farlo e io lo faccio volentieri. Il titolo poi è un’idea dell’editor, anche perché alla fine sembra che nella mia vita abbia scritto tre o quattro canzoni, mentre il mio repertorio è un pochino più vasto. Comunque è una piacevole condanna e poi Bertoni fa giustizia degli altri brani nella seconda parte del libro. Se poi i ragazzini apprezzano La locomotiva, meglio così: dover cantare per i reduci sarebbe tristissimo. Significa che queste canzoni continuano a dire qualcosa anche oggi. Incontro ragazzi che vengono a vedere anche cinque concerti di seguito e mi dicono che è un’esperienza sempre diversa. Bontà loro, io non reggerei».

Modena, la «piccola città bastardo posto», è un altro luogo importante: com’è diventata l’epicentro del beat italiano?
«Non c’è una ragione precisa, è stato l’incontro casuale di diversi talenti. Tutta l’Emilia in realtà era piena di gruppi rock all’epoca e, tutto sommato, lo è ancora. Poi l’abilità di produttori, come Pier Farri dell’Equipe 84 e di Dodo Veroli dei Nomadi, li ha fatti emergere. Il periodo modenese per me è stato importante per il rapporto con quegli strani amici che erano i musicisti dell’Equipe, dei Nomadi e con Bonvi. Però era anche una città molto piccola e i tempi erano abbastanza tristi: si sognava molto, si realizzava poco e c’era ancora la povertà del dopoguerra. È stato a Bologna che si è aperto tutto, perché era una città dal respiro più ampio».

Ha nostalgia di quella Bologna, ormai scomparsa da tempo?
«È una nostalgia moderata della propria giovinezza, non è che mi strappi i capelli. Certo è stato un periodo bello, vivacissimo, interessante, con un tessuto sociale che non esiste più e un modo di essere che non è sopravvissuto, come le osterie raccontate nel libro. Forse è la tv che lo ha corrotto, la gente oggi sta molto in casa, mentre un tempo era una città vivace».

E delle vicende politiche attuali, delle dimissioni di Delbono, che cosa pensa?
«Non è una cosa piacevole, anche se Bologna tutto sommato ha ancora una buona struttura sociale, ma qui si rischia di dire cose retoriche. Va anche detto che i personaggi alternativi a Delbono non penso siano da rimpiangere. Non credo che Cazzola sarebbe stato un sindaco migliore».

È vero che festeggerà i 70 anni con un concerto a Modena?
«Farò questo concerto a Modena ma non per i 70 anni, che a dire il vero cerco proprio di non festeggiare... Mi piace stare sul palco, parlare con la gente, è un bel rapporto e la chiave è quella di sempre. Come dico sempre: non mi sarei mai dipinto il culo di verde per piacere di più. Ho buoni musicisti e insieme ci si diverte, l’importante è che non diventi un impiego fisso».

Vita difficile quella del poeta, figurarsi da morto..

Come aveva già brillantemente intuito "IL Maestrone" la vita del poeta è difficile, perfino quando è defunto. Qui si vede l'omaggio a Giorgio Caproni. Nel casino di Roma si tenta di scoprire la targa in sua memoria, con qualche intoppo e clacsonate in sottofondo.

giovedì 4 febbraio 2010

mercoledì 3 febbraio 2010

Recensioni: Edmondo Berselli - Repubblica

Ottima recensione di Edmondo Berselli su Repubblica del 3 febbraio al nuovo libro di Francesco.

Recensioni: Brunella Torresin - Repubblica Bologna

«Ho scritto più introduzioni io di quanti romanzi abbia scritto Alessandro Dumas», confessa Francesco Guccini. Sembra quasi lamentarsene un po´, nelle belle pagine che ha dedicato a Bonvi - una lunga affettuosa lettera all´amico scomparso - in «Non so che viso avesse»: la storia della sua vita, scritta a quattro mani con l´italianista e poeta Alberto Bertoni, pubblicata da Mondadori nella collana Ingrandimenti, e da ieri in libreria (pp. 225, € 16). Anche le centocinque pagine autobiografiche che precedono le centonove pagine critiche di Bertoni (su Vita e opere di Francesco) hanno il sapore di un´introduzione, molto più che di un racconto sistematico. Come scrive Bertoni, «a 22 anni Francesco Guccini aveva già tentato le carriere di studente universitario, di giornalista e di cantante con diversi gruppi dai nomi improbabili».

Dai beati anni dell´infanzia al tirocinio da giornalista alla Gazzetta di Modena, dalla naja al primo complesso, dalle prime canzoni al primo concerto e fino alla Locomotiva, Guccini (oggi sulla soglia dei settant´anni, essendo nato a Modena il 14 giugno 1940) si racconta in diciassette capitoli, erratici, talvolta suggeriti dalle domande di un invisibile interlocutore (che altri non è che Beppe Cottafavi, il fondatore di Comix, lo svela l´autore). Diciassette capitoli per descrivere un mondo perduto, ma senza farci dei drammi. Oggi «tutto va sulla fretta e il consumo», e «allora, amen». «I tempi sono tempi. Ed è inutile piangere sul latte, pardon, sul vino versato». Scrive di osterie, naturalmente. Lui ha molto amato l´Osteria dei Poeti, quando l´oste era Paolo, mite stalinista. E l´Osteria delle Dame, che ha creato dal nulla, nell´ottobre del ´70, assieme a «un frate domenicano, padre Michele Casali che, figlio di un soprano e di un impresario teatrale era stato a sua volta impresario». Oggi «L´osteria è morta, ma non gridiamo, come per i re: "Viva l´osteria"». Non racconta pressoché mai le sue canzoni (a parte una, La locomotiva), ma racconta dell´amore per i libri («una piacevole condanna, una dolce maledizione»), per le biblioteche e per molte librerie domestiche.
Scrive anche, lo fa tra le righe della sua lettera a Bonvi, che «Invecchiare e lasciarsi dietro un mucchio di gente: è, tutto sommato, sopravvivere». Ma non è vero. È vero che lui è tornato là da dove ogni cosa era iniziata, il mulino di Pàvana («Questo, in fondo, sono stato e sono ancor oggi, a tanti anni di distanza») e i Guccini mugnai, che aveva già celebrato in Radici («Avrebbero mai immaginato, questi ultimi, che una settantina di anni dopo sarebbero finiti sulla copertina di un Lp?»). Ed è vero che da lassù molto appare un po´ distante, talvolta blandamente insensato, come fosse un film. Già, il cinema, è un altro amore d´infanzia. Ma tanto è elegiaco e struggente il capitolo sul mulino degli avi, quanto è divertente il capitolo sul cinema, e le apparenti vessazioni delle quali, da adulto, Guccini è stato vittima.
Il primo a volerlo sul set fu Gianfranco Mingozzi, nel 1976 (in un film Rai, Fantasia, ma non troppo, per violino), e Guccini dovette calarsi in «braghe fermate al ginocchio» e dentro «un corto giubbetto che copriva una specie di camicia con gli sbuffi» dove si ravvisava Giulio Cesare Croce: tutta la città ne rise, si schernisce l´autore attore. Nel 1979 recita uno sketch per Paolo Pietrangeli durante un vero concerto, e rischia la rivolta del pubblico. Nel 1987 ancora per Mingozzi sale in montagna, si cala nel ruolo di un partigiano e patisce un freddo cane; nel 1989 recita per Stefano Benni in Musica per vecchi animali con uno sdrucito cilindro in testa; nel 1998 per Luciano Ligabue è il barista Adolfo di Radiofreccia; fino all´ultimo recentissimo Pieraccioni, Io e Marilyn, in cui lo si vede in giacca e papillon nel ruolo di uno psichiatra: «Orrore!».
(03 febbraio 2010)

11 febbraio Guccini al Mandela (Firenze) per Mandela!

Firenze, 2 febbraio 2010 - Sono trascorsi vent'anni da quando Nelson Mandela è stato liberato dal carcere. Per festeggiare la ricorrenza la Cgil Toscana organizza nel Palasport dedicato al Nobel per la Pace un concerto nel segno dell'antirazzsimo e dell'integrazione.

L'11 febbraio, data scelta per la serata, si esibiranno tra gli altri grandi artisti come Francesco Guccini, Nada, Paola Turci, il comico Paolo Hendel, il chitarrista argentino Flaco Biondini, lo strumentista africano Gabin Dabire', la band romana dei Testes de Bois.

La manifestazione si chiamerà "La libertà degli altri" e in programma ci sono anche gli interventi del segretario nazionale della Cgil Giglielmo Epifani, dell'ambasciatore del Sudafrica Thenjiwe Mtintso e del presidente della Regione Toscana Claudio Martini. Direttopre artistico della serata sarà il vginettista Sergio Staino. ''Sarà una grande serata di spettacolo, che partirà dalla celebrazione dedicata a Mandela per impostare un discorso piu' generale sul tema del razzismo - ha spiegato - ci sarà molta musica e gli interventi politici e istituzionali saranno ridotti all'osso. La aprirà Hendel, con un pezzo satirico ovviamente sul razzismo, poi saliranno sul palco i musicisti''.

martedì 2 febbraio 2010

"Non so che viso avesse" La storia della mia vita


Finalmente in libreria la nuova autobiografia di Francesco, corredata da un corposo saggio dell'amico italianista modenese prof. Alberto Bertoni ("Vita e opere di Francesco"). 17 capitoli sui temi principali della sua esistenza, dal Mulino a Mamma Ester, dalla Locomotiva ai concerti, e poi balere, libri, film e canzoni. Mondadori 18 euro.


Vedi anche il precedente post.

lunedì 1 febbraio 2010

Mortacci sua!


Il rock italiano 'non esiste', e i grandi concerti di solidarieta' internazionale 'non sono serviti a un cavolo'. Parola di Carlo Verdone. Nel libro 'Rock Around the Screen', il regista confessa: 'Non riesco ad appassionarmi alla musica italiana perche' ha sempre un occhio e un piede a Sanremo. Vasco ha prodotto cose eccellenti ma Ligabue mi sembra Guccini con la chitarra elettrica'. Carlo Verdone - ansa 1/2/2010