mercoledì 31 marzo 2010
Un leghista in Toscana, anzi, brasileiro
Nelle vene del primo consigliere della Lega Nord alla Regione Toscana, eletto grazie al 6,5% raccolto dal Carroccio, scorre sangue brasiliano. Antonio Gambetta Vianna, classe 1945, è nato a Pistoia ma è vissuto con i suoi genitori (padre brasiliano e madre pistoiese) a Rio de Janeiro dall’età di sei mesi fino a 18 anni. «Mio padre Mauricio - ricorda Gambetta - fu mandato in Italia dal Brasile a combattere i nazifascisti al fianco degli Alleati: è allora che ha conosciuto mia madre Edina». Nel ’63 la sua famiglia da Rio torna a Pistoia, città dalla quale Antonio non si sposterà più. L’amore per la Lega nasce nel 1994. «Ho studiato in Brasile, che è una Repubblica federale - spiega - ed il tema del federalismo da allora non ha mai smesso di affascinarmi. Così, quando ho scoperto un partito che poneva questo principio al centro della sua battaglia politica, ne sono diventato subito sostenitore».
lunedì 29 marzo 2010
Sergio Luzzatto stronca il libro di Guccini
Sergio Luzzatto, classe 1963, docente di Storia moderna a Torino, esperto in biografie (Padre Pio. Miracoli e politica nell'Italia del Novecento (2007), Torino, Einaudi, Il corpo del duce. Un cadavere tra immaginazione, storia e memoria (1998), Torino, Einaudi, La mummia della repubblica. Storia di Mazzini imbalsamato, 1872-1946 (2001), Milano, Rizzoli) sul supplemento domenicale del 28 marzo 2010 del Sole 24 ore, stronca senza se e senza ma "Non so che viso avesse", definendolo un bidone. Tuttavia il rigore del docente universitario sembra scendere in secondo piano e pare che affiori la delusione del fan deluso ("Se io avessi previsto tutto questo il libro non lo avrei comprato") tanto che nelle ultime righe lascia intravedere una possibile assoluzione.
Ne ha parlato anche Luca Sofri su RadioTRe (vedi il podcast 11,20)
Una remota "pavanata"
"Guccini è andato a trovarlo, vent’anni prima, come si va a trovare un santo, un eremita, un maestro. Ha preso un treno, che saliva per l’Appennino, tra castagni e paesaggi che non immaginava potessero esistere. Poi tre chilometri a piedi, lungo una strada di curve, di camion e manifesti con l’orchestra di liscio. Ma come, non c’è lui, Guccini, sui muri di questo paesino? Ma no, che vuoi che sappiano, qui. Aveva chiesto al bar del paese. Aveva bussato alla porta, e Francesco aveva aperto. Era pomeriggio, lui stava mangiando.
Pane, olio e sale.
Per mesi, anche Luca mangiò pane, olio e sale, pensando che la ricetta avesse qualità miracolose.
Una volta – una delle volte che sono ritornato da te – mi hai anche fatto prendere la tua chitarra, ricorda Luca. Mi hai insegnato il giro di blues, sulla tua Martin che suonava limpida, perfetta. E il giro di blues me lo ricordo ancora. Quel pomeriggio mi raccontasti della canzone che stavi componendo. Raccontava di una ragazza in un autogrill, ma non ti veniva ancora un verso. Un verso maledetto, che non usciva giusto, non veniva la rima, non veniva il tempo. Un mese dopo, orgoglioso, me la suonasti con quel verso, l’avevi trovato, levigato, perfetto. E io pensai: ci si può mettere anche un mese, per un verso da levigare. Pensai che cercare di fare le cose bene è una forma di preghiera."
Da "Amore a ore", di Giovanni Bogani - Edimond editore.
sabato 27 marzo 2010
giovedì 25 marzo 2010
mercoledì 24 marzo 2010
"Non so che viso avesse" la recensione del Liga
Le impressioni di Luciano Ligabue sul libro "Non so che viso avesse":
"Questo libro è perfetto per chi, come me, ha già passato la fase della stima
e della venerazione nei confronti di Guccini ed è passato alla fase dell'affetto.
Nel libro c'è una cosa di quelle che ti fanno voler bene a Francesco:
lui non parla del suo lavoro.
Lui è capace di fare quello che fa, di dire le cose
che dice, diportarsi dietro la cultura che si porta dietro con modestia, mai falsa.
Non a caso che il libro lascia fare questo lavoro ad un altro."
martedì 23 marzo 2010
lunedì 22 marzo 2010
Fahrenheit: confidiamo in un ritorno
In attesa di un ritorno a Fahrenheit su RadioTre, riascoltiamo la puntata dedicata a "Cittanova Blues". Marino Sinibaldi, pensaci tu!
domenica 21 marzo 2010
sabato 20 marzo 2010
Oggi a Bologna il funerale di Renzo Fantini
dal CArlino
2010-03-20
di CLAUDIO CUMANI
ERA L’UOMO che sognava un mondo migliore attraverso la musica. Adesso che un tumore lo ha strappato per sempre alla sua vita dischi e di concerti, Renzo Fantini lascia di sé un’immagine che va ben oltre a quella del manager abile e capace. Era, Renzo, soprattutto un organizzatore pervaso da una passione autentica per il mondo della canzone e segnato da una dichiarata onestà intellettuale. Perché gli artisti di cui era da tempo immemorabile agente (Paolo Conte e Francesco Guccini, ma anche per alcuni periodi Claudio Lolli, Vinicio Capossela e l’Assemblea Musicale Teatrale) sono stati sempre per lui fraterni compagni di viaggio da affiancare con discrezione, magari da pungolare ma mai da sovrastare.
ABITO BLU, andatura dinoccolata, chioma imbiancata, lo si vedeva spesso attorno al palco dei suoi cantautori. Anche se era nell’ufficio della sua agenzia ‘Concerto’ di via Massarenti che passava, fra targhe e dischi, larga parte del suo tempo, scendendo magari nella tavernetta a lanciare da solo la pallina in una roulette-giocattolo per scaricare lo stress. Era lui l’artefice del successo internazionale di Paolo Conte, divenuto quasi più popolare in Europa che in Italia. E da quelle tournée sfiancanti tornava radioso raccontando di quando per strada ad Amsterdam un gruppo di ragazze avevano fermato l’Avvocato per un autografo. Era lui che accompagnava, una volta la settimana come il Maestrone voleva (meglio il venerdì), Francesco Guccini negli stipati palasport di tutta Italia. Non era però un tipo che si sedeva sugli allori, pur potendo contare su artisti di quel calibro. Un giorno una ragazzina si presentò nel suo ufficio perché ne aveva rintracciato su Internet: era scappata da casa e voleva fare la cantante. Renzo telefonò ai genitori, la rispedì nella sua città con la promessa che, terminata le scuole superiori, le avrebbe dato una mano. Fu di parola: a quella giovane fece incidere un disco coinvolgendo collaboratori importanti. Le fece fare anche qualche concerto, tentò di portarla a manifestazioni nazionali. La ragazza non ebbe fortuna, ma Renzo rimase sempre convinto di aver profuso tanta energia per un talento autentico. Così come era assolutamente convinto del talento di Claudio Lolli per il quale da tempo pensava a una tournée con tutti i crismi.
FANTINI era nato a Bologna il 9 maggio del 1946 ed era entrato nel mondo dello spettacolo lavorando fianco a fianco di Bibi Ballandi. Poi nei primi anni Settanta la scelta: un’agenzia propria per poter lavorare sul versante dei cantautori, dei brani d’impegno. Perché se a qualcosa lui fermamente credeva, quella era la canzone colta. E la libertà e il rispetto che l’artista meritava, pur nella diversità di vedute. Bolognese doc nei modi e nella sostanza, tifoso della squadra di calcio, forse più invidiato che amato in città, Renzo Fantini si è sempre mosso nel mondo della musica leggera come un gentiluomo un po’ snob e un po’ appartato. La sua forza è stata la complicità protettiva fatta di confidenze, progetti, idee che sapeva stringere con i suoi cantanti. Che erano i suoi amici più veri e dai quali riceveva autentico affetto.
LA SUA LEZIONE non si spegne: adesso lo staff che in tutti questi anni gli è stato accanto (Rita Allevato, Stefania Capretti) continuerà con i due figli Millo e Luigi il lavoro già avviato. I funerali si terranno oggi pomeriggio in forma strettamente privata.
venerdì 19 marzo 2010
Grave lutto per noi fan.
E' morto Renzo Fantini manager di Guccini e Conte
Il bolognese si è speso a 63 anni. Aveva collaborato anche con Dalla e Capossela
Renzo Fantini, manager e produttore di cantautori, è morto a Bologna dopo una breve malattia.
Bolognese, 63 anni, Fantini era molto noto nella musica leggera per essere dagli anni '70 il manager e produttore di big, in particolare come Francesco Guccini e Paolo Conte ai quali era legato da una lunga amicizia oltre da collaborazione professionale, attraverso la sua società Consularte. Aveva collaborato anche con Lucio Dalla, Pierangelo Bertoli e Vinicio Capossela.
Fantini era una figura in via di estinzione nell'ambito dello show business: l'appassionato di musica che poi diventa manager degli artisti che ama. I funerali si svolgeranno domani in forma privata.
Il bolognese si è speso a 63 anni. Aveva collaborato anche con Dalla e Capossela
Renzo Fantini, manager e produttore di cantautori, è morto a Bologna dopo una breve malattia.
Bolognese, 63 anni, Fantini era molto noto nella musica leggera per essere dagli anni '70 il manager e produttore di big, in particolare come Francesco Guccini e Paolo Conte ai quali era legato da una lunga amicizia oltre da collaborazione professionale, attraverso la sua società Consularte. Aveva collaborato anche con Lucio Dalla, Pierangelo Bertoli e Vinicio Capossela.
Fantini era una figura in via di estinzione nell'ambito dello show business: l'appassionato di musica che poi diventa manager degli artisti che ama. I funerali si svolgeranno domani in forma privata.
giovedì 18 marzo 2010
Ritorno a Modena
martedì 16 marzo 2010
lunedì 15 marzo 2010
Altro che "Notte delle fate"!
Tuttavia Ruggeri, come mi segnala Christian, non sembra molto grato a Guccini:
"Contatti uscì nell’aprile 1989. Registrammo a Mosca all’interno di una cattedrale sconsacrata, con un vecchio mixer a otto manopole. I suoni, incredibile a dirsi, venivano fatti spostando le persone. Se i fiati non si sentivano a sufficienza, anziché lavorare sul banco si mandavano i musicisti a suonare nella navata di sinistra. C’era poco riverbero sugli archi? Allora si mettevano al centro. Pazzesco, ma divertente. Si dovevano ingegnare per necessità.
I musicisti sovietici erano signore che arrivavano con le borse della spesa, le posavano ed estraevano i violini vecchi di ottanta anni. Ho amato immediatamente la loro sensibilità, la capacità di combattere le storture di una vita e di un sistema sociale che non condividevano sviluppando l’amicizia, sottolineando le frasi belle dei libri per poterle leggere uno all’altro. L’anno scorso sono tornato per la quinta volta in Russia e ho constatato, purtroppo, che stanno cambiando. La loro voglia di occidente li sta portando ad accettare il peggio del nostro modo di pensare, snaturando dunque il loro modo di essere. La patria di Dostoevskij e dei grandi scrittori russi è oggi devastata dal consumismo e dalla pubblicità, dai telefilm americani e dalla prostituzione.
La motivazione alla base della scelta degli altri brani di Contatti era l’affetto: Alice di De Gregori, Incontro di Guccini (gozzanianamente perfetta), La Casa In Riva Al Mare di Dalla (un bellissimo brano, a torto giudicato minore), Canzone Per Te di Sergio Endrigo (per me la canzone più bella tra quelle che hanno vinto il Festival di Sanremo), ‘A Canzuncella (quella che nessuno ricordava e che Schiavone non aveva mai sentito prima), Panama di Ivano Fossati (capolavoro assoluto) e Anche Per Te di Battisti-Mogol.
In comune, hanno la struttura da racconto breve, da short story. Ogni brano racconta una o più storie, come Alice e Anche Per Te, per me il testo più bello che Mogol abbia mai scritto, quello che più gli invidio. Tre storie di donne tracciate a penna molto ferma e incisiva.
Sono felice di avere recuperato Endrigo, un personaggio che andrebbe rivalutato, perché è stato un grande: Te Lo Leggo Negli Occhi, Lontano Dagli Occhi, Teresa. Bellissimo. Endrigo mi ha scritto una bella lettera di ringraziamento che conservo ancora. Anche De Gregori fu molto carino nei miei confronti. Da Guccini neanche una parola. Forse era impegnato a scrivere il ventiseiesimo pezzo su Che Guevara."
giovedì 11 marzo 2010
Ebbene si, anche il Guccio scrisse di gabbiani!
L'atomica cinese
Si è levata dai deserti in Mongolia occidentale
una nuvola di morte, una nuvola spettrale che va.
Sopra i campi della Cina, sopra il tempio e la risaia,
oltrepassa il Fiume Giallo, oltrepassa la muraglia e va.
Sopra il bufalo che rumina, su una civiltà di secoli,
sopra le bandiere rosse, sui ritratti dei profeti,
sui ritratti dei signori, sopra le tombe impassibili degli antichi imperatori.
Sta coprendo un continente, sta correndo verso il mare,
copre il cielo fino al punto dove l'occhio può guardare, e va.
Sopra il volo dei GABBIANI che precipitano in acqua,
sopra i pesci che galleggiano e ricoprono la spiaggia, e va.
Alzan gli occhi i pescatori verso il cielo così livido:
le onde sembra che si fermino, non si sente che il silenzio
e le reti sono piene di cadaveri d'argento.
Poi le nuvole si rompono e la pioggia lenta cade
sopra i tetti delle case, sulle pietre delle strade,
sopra gli alberi che muoiono, sopra i campi che si seccano,
sopra i cuccioli degli uomini, sulle mandrie che la bevono.
Sulle spiagge abbandonate una pioggia che è veleno
e che uccide lentamente, pioggia senza arcobaleno, che va.
Si è levata dai deserti in Mongolia occidentale
una nuvola di morte, una nuvola spettrale che va.
Sopra i campi della Cina, sopra il tempio e la risaia,
oltrepassa il Fiume Giallo, oltrepassa la muraglia e va.
Sopra il bufalo che rumina, su una civiltà di secoli,
sopra le bandiere rosse, sui ritratti dei profeti,
sui ritratti dei signori, sopra le tombe impassibili degli antichi imperatori.
Sta coprendo un continente, sta correndo verso il mare,
copre il cielo fino al punto dove l'occhio può guardare, e va.
Sopra il volo dei GABBIANI che precipitano in acqua,
sopra i pesci che galleggiano e ricoprono la spiaggia, e va.
Alzan gli occhi i pescatori verso il cielo così livido:
le onde sembra che si fermino, non si sente che il silenzio
e le reti sono piene di cadaveri d'argento.
Poi le nuvole si rompono e la pioggia lenta cade
sopra i tetti delle case, sulle pietre delle strade,
sopra gli alberi che muoiono, sopra i campi che si seccano,
sopra i cuccioli degli uomini, sulle mandrie che la bevono.
Sulle spiagge abbandonate una pioggia che è veleno
e che uccide lentamente, pioggia senza arcobaleno, che va.
lunedì 8 marzo 2010
venerdì 5 marzo 2010
Quarta volta da Fazio!
Come mi faceva giustamente notare l'amico Attilio, quella di domenica sarebbe la quarta intervista che Francesco fa con FazioFabio. Ecco le precedenti:
.
Probabilmente non avevo colto l'alternarsi dei maglioni, salta più all'occhio il cangiare della pettinatura di Fazio.
giovedì 4 marzo 2010
A' Guccì, e spostate!!!
Clamorosa anticipazione, forse domenica sera Guccini torna PER LA TERZA VOLTA da Fabio Fazio a "Che tempo che fa", per presentare la sua "quasi biografia"!
Dopo Aldo Busi sull'isola, ci dobbiamo aspettare anche un Francesco presenzialista (sia pure su rai3)?
Dopo Aldo Busi sull'isola, ci dobbiamo aspettare anche un Francesco presenzialista (sia pure su rai3)?
Noi ex-zappatori
Il Secolo XIX
Flash di vita vissuta tra l’amatissima Pavana, piccolo paese dell’Appennino, Modena e Bologna raccontati in prima persona alla soglia dei 70 anni. Per la prima volta Francesco Guccini si racconta in una `quasi´ autobiografia (così ama definirla) intitolata `Non so che viso avesse´, scritta a quattro mani con l’amico e italianista Alberto Bertoni. Un titolo che è anche l’incipit della memorabile `Locomotiva´, canzone che dura otto minuti e scritta in 20 per la quale Guccini non nasconde ancora l’orgoglio.
«Sono stato subito molto fiero di quella canzone», ha ammesso davanti al pubblico (soprattutto giovani) che gremiva la libreria fino ai piani superiori. «La prima strofa in realtà è stata scritta per ultima - ha rivelato - perché scrivendo la canzone, mi sono accorto che mancava il cappello e comunque ricordo che mentre scrivevo, prendevo appunti sulle strofe successive». Ma a parlare del suo lavoro e soprattutto delle sue canzoni non è il cantautore modenese.
Nel libro il compito è affidato espressamente a Bertoni. «Io di me racconto poco e niente se Dio vuole», ha spiegato Guccini con ironia. Essenzialmente «episodi della mia vita tra Pavana, Modena e Bologna, le orchestre, i concerti, tutto qui». Poco gossip, però, ha chiarito. «Mi dispiace ma non ci sono gossip. Mi tengo buono per scriverne in un altro libro», ha annunciato ridendo, aggiungendo invece - seriamente - che in cantiere ha un altro giallo che sta scrivendo con Loriano Macchiavelli e senza il famoso personaggio del maresciallo Santovito. Poi, ricordando gli esordi con piccoli complessi nelle balere ha osservato: «Allora eravamo un pò degli zappatori, non sapevamo dove mettere le mani e avevamo il terrore di sbagliare». Ciononostante ai concerti «le sale erano piene, spesso il palco gremito di gente e a volte si facevano due concerti nella stessa sera». Come i Beatles? «Sì ma loro erano in quattro e io da solo», ha ironizzato ancora. Infine alla domanda dal pubblico sulla perdita della memoria o di certi valori fra i giovani, Guccini ha risposto un pò amaro: «Non solo la memoria hanno perso. Se si pensa per chi votano gli italiani oggi...»
Flash di vita vissuta tra l’amatissima Pavana, piccolo paese dell’Appennino, Modena e Bologna raccontati in prima persona alla soglia dei 70 anni. Per la prima volta Francesco Guccini si racconta in una `quasi´ autobiografia (così ama definirla) intitolata `Non so che viso avesse´, scritta a quattro mani con l’amico e italianista Alberto Bertoni. Un titolo che è anche l’incipit della memorabile `Locomotiva´, canzone che dura otto minuti e scritta in 20 per la quale Guccini non nasconde ancora l’orgoglio.
«Sono stato subito molto fiero di quella canzone», ha ammesso davanti al pubblico (soprattutto giovani) che gremiva la libreria fino ai piani superiori. «La prima strofa in realtà è stata scritta per ultima - ha rivelato - perché scrivendo la canzone, mi sono accorto che mancava il cappello e comunque ricordo che mentre scrivevo, prendevo appunti sulle strofe successive». Ma a parlare del suo lavoro e soprattutto delle sue canzoni non è il cantautore modenese.
Nel libro il compito è affidato espressamente a Bertoni. «Io di me racconto poco e niente se Dio vuole», ha spiegato Guccini con ironia. Essenzialmente «episodi della mia vita tra Pavana, Modena e Bologna, le orchestre, i concerti, tutto qui». Poco gossip, però, ha chiarito. «Mi dispiace ma non ci sono gossip. Mi tengo buono per scriverne in un altro libro», ha annunciato ridendo, aggiungendo invece - seriamente - che in cantiere ha un altro giallo che sta scrivendo con Loriano Macchiavelli e senza il famoso personaggio del maresciallo Santovito. Poi, ricordando gli esordi con piccoli complessi nelle balere ha osservato: «Allora eravamo un pò degli zappatori, non sapevamo dove mettere le mani e avevamo il terrore di sbagliare». Ciononostante ai concerti «le sale erano piene, spesso il palco gremito di gente e a volte si facevano due concerti nella stessa sera». Come i Beatles? «Sì ma loro erano in quattro e io da solo», ha ironizzato ancora. Infine alla domanda dal pubblico sulla perdita della memoria o di certi valori fra i giovani, Guccini ha risposto un pò amaro: «Non solo la memoria hanno perso. Se si pensa per chi votano gli italiani oggi...»
Guccini e "il suo biografo" a Bologna
Da notare all'inizio, durante la lettura "della grande overture" del presentatore, come mulina la manona con gesto minimizzatore!
Tango italiano
recensione di Roat, F., L'Indice 1998, n. 1
Qual è il senso dell'approdo in Argentina (onirico o reale, poco importa) narrato nell'ultimo racconto-resoconto di Rino Genovese? Cosa rappresenta la figura del viaggiatore di questo nuovo "falso diario" latinoamericano - il cui spunto questa volta non è rappresentato da Cuba, come nel precedente "Cuba, falso diario" (Bollati Boringhieri, 1993), ma dalla peregrinazione attraverso una Buenos Aires straniante - e il suo trascinarsi con lo sguardo da visitatore di un acquario per una metropoli degna del miglior Borges, se non l'occasione di osservare se stesso e l'Italia dagli antipodi, guardando ai propri casi dall'altra sponda dell'oceano?
In uno stato di perenne dormiveglia, l'io narrante, "dandy pagato dallo Stato" per una non ben precisata ricerca a livello universitario, percorre dunque Buenos Aires senza una meta precisa che non sia il lasciarsi andare, il perdersi nella malinconica geografia delle sue vie, disseminate di sconnessioni e buche, allusive forse al tragitto mai piano o pianificabile dell'esistenza stessa, in una sorta di preparativo di viaggio all'insegna di una peregrinazione virtuale, tutta giocata sull'immaginario. Giacché l'indagine di Genovese, più che rivolta a esplorare spazi concreti pare attenta a riflettere sulla Storia recente argentina: dalla rivolta studentesca e operaia del '69, preludio alla crisi della dittatura di Onganía, sino al ritorno di Perón, e al colpo di Stato.
In compagnia di una giovane neoperonista, Eva, dal nome sin troppo evocativo, il protagonista vagabondando per Buenos Aires, la città "costruita sopra un cimitero", ripercorre il passato di stragi, torture e dei trentamila "desaparecidos", interrogandosi sulle ragioni della malinconia di questa metropoli "letteraria e terribile", forse non riconducibile solo alla tristezza del sottosviluppo, ma a un orrore che non si può esorcizzare quando i giornali e la televisione ti costringono ad assistere alla macabra girandola di pentimento/giustificazionismo da parte degli assassini. Il regista Solanas, candidato (senza alcuna "chance") alla presidenza della Repubblica, affida al protagonista l'incarico di stendere un rapporto sull'Italia. Così la prospettiva si ribalta, nel tentativo di focalizzare i tratti peculiari di una "patria impossibile", che appare come un'Argentina "senza mito e senza tragedia", una "frontiera moderata" del mondo, dove tutto sembra stemperarsi in conformismo, cinico disincanto o rassegnazione.
Disincanto che è pure l'angolo prospettico da cui Genovese, nel suo vagabondare da "flaneur" solo all'apparenza svagato, raffigura situazioni e persone con una felicità di scrittura che maschera una prosa sorvegliatissima e calibrata nel dosaggio di scampoli di Storia e vita, cui si alternano gli intervalli d'una accidia tutta letteraria che, se favorisce la disamina interiore, s'accompagna pur sempre al peregrinare attraverso i luoghi d'una leggenda (la città labirinto di Borges, appunto).Questi sono a loro volta scaltri pretesti per commenti, note didascaliche e riflessioni tra il politico e il sociologico, talvolta un po' forzate all'interno di un testo narrativo. Il progetto di misurarsi col passato per poter meglio fronteggiare l'oggi - cioè fare storia strappando "brandelli di possibilità alla pesante trama dell'esistente" - viene però frustrato dall'opacità e dallo stallo di un presente in cui Genovese non riesce a cogliere segni di rinnovamento.
Ma "Tango italiano", di là dalle tentazioni saggistiche, si può anche leggere come un racconto d'amore irrisolto non solo per l'enigmatica Eva (o l'Argentina), ma anche per l'Italia. Meglio, come la narrazione di pluri-mi rapporti d'amore-odio.Ritornato dall'America al luogo di partenza e appartenenza, Genovese conclude che, se la vita e la storia ci paiono "un girare a vuoto e un movimento immobile", ciò non comporta la necessità di ridurle senz'altro alla rappresentazione intellettuale di un labirinto senza sbocchi.
Così il protagonista, in un ritorno di fiamma d'entusiasmo, nella pagina finale che reinnesca in modo simpatico l'avvio del libro, opterà per la non facile decisione di testimoniare la propria crisi mediante un "diario", assai più pubblico che privato, alla scoperta della realtà contemporanea, assumendo coraggiosamente su di sé la mai lieve responsabilità "del dire e dello scrivere".
Qual è il senso dell'approdo in Argentina (onirico o reale, poco importa) narrato nell'ultimo racconto-resoconto di Rino Genovese? Cosa rappresenta la figura del viaggiatore di questo nuovo "falso diario" latinoamericano - il cui spunto questa volta non è rappresentato da Cuba, come nel precedente "Cuba, falso diario" (Bollati Boringhieri, 1993), ma dalla peregrinazione attraverso una Buenos Aires straniante - e il suo trascinarsi con lo sguardo da visitatore di un acquario per una metropoli degna del miglior Borges, se non l'occasione di osservare se stesso e l'Italia dagli antipodi, guardando ai propri casi dall'altra sponda dell'oceano?
In uno stato di perenne dormiveglia, l'io narrante, "dandy pagato dallo Stato" per una non ben precisata ricerca a livello universitario, percorre dunque Buenos Aires senza una meta precisa che non sia il lasciarsi andare, il perdersi nella malinconica geografia delle sue vie, disseminate di sconnessioni e buche, allusive forse al tragitto mai piano o pianificabile dell'esistenza stessa, in una sorta di preparativo di viaggio all'insegna di una peregrinazione virtuale, tutta giocata sull'immaginario. Giacché l'indagine di Genovese, più che rivolta a esplorare spazi concreti pare attenta a riflettere sulla Storia recente argentina: dalla rivolta studentesca e operaia del '69, preludio alla crisi della dittatura di Onganía, sino al ritorno di Perón, e al colpo di Stato.
In compagnia di una giovane neoperonista, Eva, dal nome sin troppo evocativo, il protagonista vagabondando per Buenos Aires, la città "costruita sopra un cimitero", ripercorre il passato di stragi, torture e dei trentamila "desaparecidos", interrogandosi sulle ragioni della malinconia di questa metropoli "letteraria e terribile", forse non riconducibile solo alla tristezza del sottosviluppo, ma a un orrore che non si può esorcizzare quando i giornali e la televisione ti costringono ad assistere alla macabra girandola di pentimento/giustificazionismo da parte degli assassini. Il regista Solanas, candidato (senza alcuna "chance") alla presidenza della Repubblica, affida al protagonista l'incarico di stendere un rapporto sull'Italia. Così la prospettiva si ribalta, nel tentativo di focalizzare i tratti peculiari di una "patria impossibile", che appare come un'Argentina "senza mito e senza tragedia", una "frontiera moderata" del mondo, dove tutto sembra stemperarsi in conformismo, cinico disincanto o rassegnazione.
Disincanto che è pure l'angolo prospettico da cui Genovese, nel suo vagabondare da "flaneur" solo all'apparenza svagato, raffigura situazioni e persone con una felicità di scrittura che maschera una prosa sorvegliatissima e calibrata nel dosaggio di scampoli di Storia e vita, cui si alternano gli intervalli d'una accidia tutta letteraria che, se favorisce la disamina interiore, s'accompagna pur sempre al peregrinare attraverso i luoghi d'una leggenda (la città labirinto di Borges, appunto).Questi sono a loro volta scaltri pretesti per commenti, note didascaliche e riflessioni tra il politico e il sociologico, talvolta un po' forzate all'interno di un testo narrativo. Il progetto di misurarsi col passato per poter meglio fronteggiare l'oggi - cioè fare storia strappando "brandelli di possibilità alla pesante trama dell'esistente" - viene però frustrato dall'opacità e dallo stallo di un presente in cui Genovese non riesce a cogliere segni di rinnovamento.
Ma "Tango italiano", di là dalle tentazioni saggistiche, si può anche leggere come un racconto d'amore irrisolto non solo per l'enigmatica Eva (o l'Argentina), ma anche per l'Italia. Meglio, come la narrazione di pluri-mi rapporti d'amore-odio.Ritornato dall'America al luogo di partenza e appartenenza, Genovese conclude che, se la vita e la storia ci paiono "un girare a vuoto e un movimento immobile", ciò non comporta la necessità di ridurle senz'altro alla rappresentazione intellettuale di un labirinto senza sbocchi.
Così il protagonista, in un ritorno di fiamma d'entusiasmo, nella pagina finale che reinnesca in modo simpatico l'avvio del libro, opterà per la non facile decisione di testimoniare la propria crisi mediante un "diario", assai più pubblico che privato, alla scoperta della realtà contemporanea, assumendo coraggiosamente su di sé la mai lieve responsabilità "del dire e dello scrivere".
mercoledì 3 marzo 2010
Tango per due
Coppia che sta silenziosa, un po' rigida e in posa, a ballare, una sera:
la vita è solo una cosa rimasta indietro non c'è più, ma c'era;
composta e indomenicata, eleganza sfuocata raggiunta a fatica,
l' oggi ha cambiato facciata, ma di quell' ieri passato io so
che tante ne potreste raccontare e il ricordo stempera e non guasta
Rivivere l'emozione del molino, live
Non è il . mulino di Chicon (restaurato ma purtroppo non più funzionante), questo sta una settantina di chilometri più a est, ma doveva proprio funzionare bene come questo
Consueto bagno di folla a Bologna
BOLOGNA, 2 MAR. – È proprio vero , un talento si ammira in tutte le sue sfaccettature , anche quando non è all’opera , quell’opera per cui noi comunemente lo riconosciamo come talento .
Francesco Guccini si racconta ad una platea che ha superato le aspettative della libreria Ambasciatori , tanto che i circa 200 funs e curiosi si sono sistemati in qualunque parte della libreria , anche sul palco stesso , come nello stile dell’autore atteso , creando un ambiente caldo ed informale.
Il cantautore presenta un’autobiografia “a quattro mani” così come è stata definita da Bertoni ( il quale ha collaborato allo scritto) , un libro che ripercorre gli episodi della sua vita , ma come tiene a precisare Guccini , non contiene gossip particolari .
“Non so che viso avesse” è il titolo del libro (Mondadori , 228 pagine ) , frase che rievoca l’incipit della celebre “La locomotiva” , canzone con cui Guccini ancora oggi conclude tutti i suoi concerti.
Ripensa insieme all’amico Bertoni , che gli fa da spalla , agli anni degli esordi con particolari aneddoti , ricorda i primi concerti , gli amici passati e il suo primo contratto : “ mio padre mi disse , centomila lire oggi , e poi domani?” , si presenta così , come un ragazzo semplice della vecchia Modena che fa successo per amore per la musica e , rivela oggi , anche per storie di donne intrecciate con la sua giovinezza.
Tra una botta e risposta l’incontro si conclude con le domande di rito da parte del pubblico il quale , ironizzando con lui , solleva il problema politico , ed alla domanda “ perché gli Italiani hanno la memoria corta ?” lui risponde “ Gli Italiani non hanno memoria completamente se guardiamo a chi votano !”
Laura Pergolizzi
Francesco Guccini si racconta ad una platea che ha superato le aspettative della libreria Ambasciatori , tanto che i circa 200 funs e curiosi si sono sistemati in qualunque parte della libreria , anche sul palco stesso , come nello stile dell’autore atteso , creando un ambiente caldo ed informale.
Il cantautore presenta un’autobiografia “a quattro mani” così come è stata definita da Bertoni ( il quale ha collaborato allo scritto) , un libro che ripercorre gli episodi della sua vita , ma come tiene a precisare Guccini , non contiene gossip particolari .
“Non so che viso avesse” è il titolo del libro (Mondadori , 228 pagine ) , frase che rievoca l’incipit della celebre “La locomotiva” , canzone con cui Guccini ancora oggi conclude tutti i suoi concerti.
Ripensa insieme all’amico Bertoni , che gli fa da spalla , agli anni degli esordi con particolari aneddoti , ricorda i primi concerti , gli amici passati e il suo primo contratto : “ mio padre mi disse , centomila lire oggi , e poi domani?” , si presenta così , come un ragazzo semplice della vecchia Modena che fa successo per amore per la musica e , rivela oggi , anche per storie di donne intrecciate con la sua giovinezza.
Tra una botta e risposta l’incontro si conclude con le domande di rito da parte del pubblico il quale , ironizzando con lui , solleva il problema politico , ed alla domanda “ perché gli Italiani hanno la memoria corta ?” lui risponde “ Gli Italiani non hanno memoria completamente se guardiamo a chi votano !”
Laura Pergolizzi
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