Canzoni, applausi e commozione in piazza.
Pace fatta con Modena, "piccola città bastardo posto"
FRANCO GIUBILEI per La Stampa 1 luglio 2010
MODENA
Avrà pure compiuto settant’anni da pochi giorni, sarà anche nella sua città natale per la prima volta dopo decenni (tanto che l’ultimo concerto modenese viene fatto risalire agli Anni Settanta, forse ce n’è stato un altro a metà Novanta: segno che il vecchio astio cantato in Piccola città non si è mai placato?) ma per Francesco Guccini questo è uno show come tutti gli altri, nonostante piazza Grande sia stipata all’inverosimile e il parterre sia pieno di ospiti di riguardo, da Luciano Ligabue a Carlin Petrini a Enzo Iacchetti. Erano annunciati anche Vinicio Capossela e Zucchero ma all’inizio del concerto non sono venuti a rendere omaggio al maestro come gli altri, fra un bicchiere di vino rosso e un tocco di parmigiano reggiano.
Guccini si confessa prima del concerto, rispondendo a precisa domanda: «Non sono per niente emozionato, è un concerto come tutti gli altri e non è neanche il primo che faccio a Modena, queste sono le leggende dei media, ne ho fatti almeno altri quattro». Poi lo ripete anche davanti a seimila persone: «In questa piazza che ho percorso in lungo e in largo tanti anni fa. Io temo che siate stati igannati dai media, questo è un normale concerto, non è un avvenimento, e gli anni li ho compiuti il 14 giugno, quando li compie anche Bonolis: e lo so, non si può aver tutto dalla vita». Scherza sulla sua età, che accomuna a quella della Ghirlandina, il campanile del Duomo romanico, «questo simbolo fallico...». E siccome le prime file non vogliono saperne di sedersi e il resto del pubblico seduto rumoreggia, lui incoraggia a modo suo gli irriducibili sotto il palco: «Così si resiste alla folla! Lo sta facendo anche Brancher, lo faranno ministro ai piccioni viaggiatori». E attacca la musica, la sua musica per cui si sono mossi a migliaia e in tanti sono rimasti fuori dalla piazza, perché i biglietti sono andati tutti esauriti, volati via in pochi giorni: un brano vecchio quasi quanto lui, Canzone per un’amica, in morte di S.F., con quel vocione profondo inconfondibile e l’erre moscia a grattare «lunga e diritta correva la strada...».
Dice che non è un evento e probabilmente lo pensa davvero, perché l’uomo è autenticamente schivo e diceva sul serio quando ripeteva che nei settant’anni appena compiuti non c’è proprio niente da festeggiare, eppure il grande concerto è nell’aria, è nell’attesa dei suoi fedelissimi, un pubblico così trasversale che più trasversale non si può per età – dai venti ai sessanta, a occhio e croce, cioè nonni, babbi e figli – ma motivatissimo nella passione.
Arriva Osterie di fuori porta, tutta impregnata dei sapori del periodo bolognese e il pensiero va a un’altra canzone storica che è la sua dedica velenosa e spietata alla Modena da cui fuggì per cercare rifugio e fortuna a Bologna, cioè la «piccola città bastardo posto».
La farà, non la farà? I suoi amici storici, fra cui il poeta Alberto Bertoni, gliel’hanno chiesta in modo pressante, al punto da promettere un coretto sotto il palco se Guccini avesse fatto resistenza. Al che si vocifera che lui avrebbe minacciato di eseguire Bologna, che nella città confinante risuonerebbe una specie di oltraggio, considerate le antiche rivalità di campanile. Ma in realtà non c’è spazio per polemiche e metaforici calci negli stinchi e il concerto fila via liscio fra applausi e acclamazioni, perché se la leggenda vuole che Guccini malsopporti la città che gli ha dato i natali, Modena stavolta è tutto ai suoi piedi. E Francesco ricambia a modo suo, chiudendo come sempre fa, con La locomotiva.
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