Riflessioni sul concerto di Lucca
“Trionfi la giustizia proletaria”. Il venditore di t-shirt, all’imbocco di Piazza Napoleone, mostra orgoglioso la strofa-chiave de La locomotiva. E’ la data di apertura del Summer Festival di Lucca e c’è Francesco Guccini. Rassegna molto internazionale, con tanto di maxischermi . Lui se ne accorge in ritardo: “E’ la prima volta che mi capita, sono emozionato. Se le telecamere erano quelle di Mediaset, non mi stava bene”.
Cinquemila persone per un concerto-ritrovo: un rito. Canzoni e chiacchiere, da imbonitore autoironico e consumato. Il Maestrone di Pàvana litiga con le formiche alate sul palco, rivela che “la scaletta l’ha scelta Bisignani”, se la prende con il processo breve nascosto nella manovra (boato della folla).
Potrebbe avere tutto un’aria revivalistica. Oltretutto Guccini suole tratteggiarsi come postumo in vita, senza più idee. Potrebbe, ma non accade. E’ una serata di festa, nonostante la consueta aura apocalittica dei primi brani (Canzone per un’amica, Noi non ci saremo, Il pensionato). Gran parte del pubblico è composto da giovani. Sanno i testi a memoria. Guardano con rispetto sacrale alla sindone, vecchiotta ma immortale, che ritrae un barbutissimo Guccini ai tempi – 1976 - di Via Paolo Fabbri 43.
Non è cambiata nemmeno la postura sul palco. Braccio sinistro appoggiato sull’asta del microfono, artista un po’ incurvito: l’istantanea di una carriera. Un bicchiere di vino qua e là (di fumare ha smesso, di bere no). Prima parte sulla memoria, poi canzoni d’amore, quindi di protesta. Due ore abbondanti. Gemme a profusione: Il frate, Autogrill, Farewell. I musicisti sono quelli di sempre, da Ellade Bandini a Flaco Biondini. Dediche, dal palco, ad amici andati: Victor Sogliani, Bonvi, Fabrizio De André. Pillole narcise su un “pensionato” finto-malato che continua a piacersi. Inviti a resistere, gli ennesimi: “Senza fare retorica, mi viene voglia di dire, ora e sempre: Resistenza” (altro boato). Il “piccolo baccelliere” imbraccia la chitarra solo all’inizio e alla fine, quando saluta i fans eseguendo Dio è morto e La locomotiva. Inni per una generazione che si credeva “preparata” e che forse ha perso. Ma almeno ci ha provato.
Francesco Guccini non incide una canzone nuova da sette anni (per altri, come Zucchero, ogni tanto si è concesso). Di concerti ne fa sempre meno (di film con Pieraccioni sempre più, chissà perché). Forse è stanco, forse l’ispirazione è fuggita. Eppure, a vederlo sul palco, meravigliosamente refrattario a qualsiasi rituale divistico, sembra in forma. Magari non meritevole del Nobel per la Letteratura, come chiede uno striscione, ma intatto. Coerente. Ancora in grado di tenere aperta l’ultima osteria di fuori porta. Da qualche parte, salvifica, fra la via Emilia e il west.
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