venerdì 12 giugno 2015
"Montanaro come il borlengo"
«Essere considerato poeta non mi interessa molto. Essere considerato un cantautore-poeta che raggiunge una più ampia fascia di pubblico, mi interessa. La canzone arriva prima all'orecchio della gente. Il cantautore si rivolge ad un pubblico estremamente ampio, catturandone l'attenzione, l'interesse». Parole di Francesco Guccini, uno che sulla parola ha costruito una vita da scrittore e da cantautore. Non uno dei tanti, ma fra i più grandi, se non il più grande.
A Modena Guccini affonda le proprie radici. Non solo per l’anagrafe, ma anche per la musica. Qui ha iniziato a suonare, qui ha deciso che sarebbe stata quello il suo futuro. Un pezzo di “modenesità” che si è portato dietro nei ricordi e nel dialetto, oltre che - racconta divertito - nell’amore per il lambrusco: «Sono nato e cresciuto tra il dialetto modenese di mia madre , che era di Carpi, e il dialetto bolognese di mio padre. Certi vocaboli miei sono più carpigiani con le vocali aperte».
Qual è l'album e la canzone che ama di più?
«Non c'è un album o una canzone particolare. In genere, si dice che è l'ultimo album, l'ultima canzone. Quello che, forse, mi rispecchia di più è la raccolta che comprende 17 canzoni, intitolato "Anfiteatro live" . O l'album " Amerigo" con una delle mie canzoni più famose "Eskimo". L'album "Fra la via Emilia e il West", di cui molte canzoni facevano parte di un concerto in Piazza Maggiore a Bologna, che ha visto la partecipazione anche di Giorgio Gaber, Paolo Conte, Lucio Dalla, I Nomadi, Roberto Vecchioni e L'Equipe 84, che si era riformata per l'occasione. La canzone che meglio mi rispecchia è Addio. È una canzone molto sentita, partecipata, anche politicamente. L'ho composta in un giorno. Dio è morto è una canzone sopravvalutata . Ancora oggi, anche con Gianna Nannini, è la più interpretata Eravamo negli anni '64-65. Qualcosa doveva cambiare . Occorreva coraggio. Coraggio che ho trovato nei Nomadi . Come Auschwitz", tecnicamente non è un granché. Ma sono canzoni che colpiscono di più la fantasia della gente».
Quale è l'opera letteraria che sente più sua e perché?
«Difficilissimo dirlo. Da sempre sono un "forte lettore". Ho cominciato con "Pinocchio" da bambino. Da allora, non ho più smesso di leggere. i miei autori preferiti sono quelli della letteratura anglo-americana, poi autori come Gadda, Meneghello di "Libera nos a Malo" con il loro uso particolare della lingua».
Nel romanzo, "Vacca d'un cane", definisce Modena , "città della Motta" . Perché ?
«Città della Motta perché, probabilmente, è l'etimologia più giusta, che risale alla civiltà terramaricola, alle origini etrusche, le motte erano le terremare. La ricordo come città molto piccola, piuttosto triste. Venivo da Pavana, dall'ampiezza e dalla luce dei monti del pistoiese e del bolognese.Mi sentivo un po' straniero. Ma a Modena è cominciata la lettura musicale nuova, diversa, rivoluzionaria. Erano gli anni dell'adolescenza e i sogni degli adolescenti sono sempre più ampi, ambiziosi. A Modena, ho cominciato a suonare, Mai avevo pensato di fare il cantautore. Volevo diventare scrittore . Poi, amici come Victor Sogliani dell ' Equipe 84 , come Corrado Bacchelli e Dodo Veroli , come i musicisti dei Nomadi mi hanno via via portato verso la musica. A loro debbo tante cose».
Quanto deve a Modena?
«Tanto. A Modena, recentemente , ho sofferto nel vedere che, di notte, in centro, non c'è nessuno. Allora non "si sguazzava nel divertimento" , ma la città era viva, vissuta. Erano gli anni in cui si formavano i primi complessi musicali da ballo. I miei ricordi di allora sono legati alle "mine" . Pare che sia un "francesismo". Erano le fidanzatine. Mentre si usa ancora nel lunfardo, che è il gergo dialettale di Buenos Aires, a Modena non si usa più . Ricordo , con tristezza, la scuola, i lunghi e nebbiosi inverni, l'umidità, i freddi intensi. Ricordo il freddo sofferto alla Tombola di San Geminiano, dove non ho mai vinto niente. Nonostante i pochi soldi, ci divertivamo ad organizzare delle feste musicali e danzanti. È stato, comunque, un periodo intenso, creativo anche grazie alla collaborazione, per oltre due anni, alla "Gazzetta dell'Emilia" (oggi Gazzetta di Modena) di via Falloppia. Ero cronista e potevo sviluppare (così pensavo) la mia vocazione per la scrittura. Avevo come colleghi professionisti Adalberto Minucci, Aristide Selmi e GianCarlo Zironi, poi trasferiti a Torino e a Milano, in quotidiani nazionali. Il primo articolo è rimasto scolpito nella mia memoria. Era un pezzo su una religiosa. La giusta nemesi. Lasciai "La Gazzetta" dopo un incontro con Alfio Cantarella dell' Equipe 84, che cercava un chitarrista-cantante».
Modena e il Lambrusco, o meglio i Lambruschi?
«Da modenese, dico sempre: mi sono rimaste dentro due cose fondamentali: l'accento , che, però, si va via via attenuando, e un'altra che fortunatamente non si attenua, l'amore per il lambrusco. Sarebbe meglio dire per i lambruschi, perché, minimo sono tre ma questa è roba da tecnici. Mio nonno materno, a Carpi, lo faceva , con perizia e passione. Ho anche scritto "due cose" sul lambrusco. A suo tempo, l'ho difeso anche dall'amico Carlo Petrini . Ora non ha più bisogno di essere difeso. I produttori hanno puntato e puntano sulla qualità. Ed abbiamo ottimi lambruschi. Io preferivo il Salamino , adesso preferisco quello di Castelvetro, più corposo . È il vino che si sposa con i nostri "mangiari", dai tortellini allo zampone, al gnocco fritto, ai borlenghi che, nel bolognese, a Gaggio montano, sono le zampanelle . Ho visto che, proprio "La Gazzetta di Modena" sta cercando di riscoprire e valorizzare le nostre antiche "eccellenze" montanare come il borlengo».
Il brano "Lettera" è dedicato a due amici prematuramente scomparsi. Come ricorda Bonvi e Victor Sogliani?
«Con Victor eravamo molto amici. L'ho spinto io a cantare, quando suonavo "da ballo". Avevamo bisogno di un basso . Anche sua sorella cantava e piuttosto bene. Lo ricordo con grande affetto. Con Bonvi eravamo altrettanto amici, ma in modo diverso Non sapeva né suonare né cantare. Era stonatissimo. Era matto, forse la persona più matta che io abbia conosciuto. Capace di slanci generosissimi. L'ho segnalato come sceneggiatore e disegnatore. Era diventato anche lui bolognese. E' morto investito da un'automobile, mentre stava portando dei suoi disegni per Magnus, Roberto Raviola, l'inventore di Tex Willer. Anche Bonvi si era rifugiato sull'Appennino bolognese. Due grandi amici, due grandi artisti».
Perché Modena "piccola città, bastardo posto", fra la Via Emila e il West ?
«Quella canzone dice tutto il mio pensiero su Modena, dove fra la via Emilia e il West era l'angolo tra via Cucchiari, dove abitavo, e Sinigaglia , dove andavamo a ballare al Florida, sala che poi è diventata sede della Caserma della Finanza. Allora, lì, per strada, nei campi,
giocavamo , Con la bicicletta, andavamo con la "mina" fino a via Morane, che era campagna aperta. Oggi , ci sono enormi casermoni, uno dopo l'altro. Il centro, lo conosco. Ma la città, la sua periferia esplosa senza alcun ordine non la riconosco».
Roberto Armenia della Gazzetta di Modena
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