lunedì 13 febbraio 2017

Tornelli, manganelli ed osterie

OLOGNA - "Mettere i tornelli forse è anche giusto, ma dare manganellate mi sembra brutale " commenta Francesco Guccini dalla casa degli avi a Pavana sul crinale d'Appennino che divide l'Emilia dalla Toscana. Da lì Bologna appare lontana, ma il cantautore non ha mai tagliato il cordone ombelicale che lo lega alle Due Torri, dove ogni tanto scende nella sua via Paolo Fabbri a due passi dalla storica osteria Vito scenario di partite a tarocchino e di canzoni scritte di getto tra un bicchiere e una giocata. Si è esagerato coi manganelli? "Premesso che mica c'ero e che so tutto dai giornali e dalla televisione, dico che prendere a bastonate gli studenti è un metodo un po' troppo brutale. Anche se, purtroppo, nelle manifestazioni il manganello si è sempre usato. Un tempo forse anche più di oggi". A proposito del passato, c'è chi ha paragonato questa protesta a quella del '77 prima e dopo l'uccisione di Pierfrancesco Lorusso. Trova che sia un paragone che tiene? "Assolutamente no. Quarant'anni fa l'atmosfera era del tutto diversa. Allora c'era la politica, i gruppi erano fortemente politicizzati e gli scontri ideologici. Inoltre la gravità di quel che successe allora è molto superiore. Non dimentichiamoci che ci fu un morto, che Bologna visse giornate drammatiche in cui via Zamboni, davanti al Rettorato e alla sede di Lettere e filosofia, era un crocevia di autoblindo dell'esercito e di camionette per smantellare le barricate erette dagli studenti". Lei fu coinvolto dai ragazzi del Movimento? Partecipò a qualche manifestazione? "Ricordo che feci un concerto per chiedere la liberazione di alcuni animatori della protesta che erano stati arrestati. Io e Roberto Vecchioni cantammo al palasport in piazza Azzarita. Questo accadde prima che Lorusso venisse ucciso. Fu un concerto molto partecipato e con tanto pathos. Il palasport era gremito. Un'altra differenza tra quei tempi e l'oggi è che allora c'era più voglia di stare assieme, più partecipazione. Quell'anno però successero anche altre cose. Per esempio un progetto di radio abortì". Di cosa si trattava? "Era una radio a cui demmo il nome di "Marconi & company", ma finimmo solo per fare delle inutili prove tecniche di trasmissione senza mai esordire ufficialmente perché quando fu il momento di partire la polizia chiuse d'imperio radio Alice, l'emittente del Movimento. Oltre a me erano coinvolti Lucio Dalla e Franco Bonvicini, il celebre Bonvi di Sturmtruppen ". Perché decideste di non partire con le trasmissioni? "Un po' per solidarietà con la chiusura di radio Alice che consideravamo una cosa ingiusta, un po' perché il clima era tesissimo, al limite del respirabile. La polizia controllava tutto, intercettava le telefonate, sembrava di stare dentro una cospirazione. Un giorno sentimmo proprio Bonvi che parlava con Red Ronnie in una lingua allusiva che pareva in codice. A quel punto io, Dalla e il resto dei fondatori ci siamo detti: lasciamo perdere va là". Questa protesta vive un altro clima e attraversa un'altra città rispetto al '77. Com'è cambiata Bologna nella sua antropologia. Per dirla con le parole della sua canzone: oggi è più matrona o più busona? "Né l'una né l'altra. Vivo in Appennino dal 2001. Quel che mi sembra chiaramente distintivo è che in quegli anni, pur pieni di scontri, c'era più gioia di vivere. Ora i bolognesi vivono appartati, sembrano aver smarrito il gusto di stare assieme. Forse allora era l'effetto di una città più politicizzata e quindi mossa da passioni". Dunque non riconosce la sua città? "No. Posso dire che nei sedici anni di assenza, ogni volta che ritorno trovo una città diversa, per molti versi irriconoscibile. Potrei farle molti esempi". Cosa l'ha colpita di più? "Di recente sono tornato per la proiezione di un documentario girato ad Auschwitz l'anno scorso a cui ho partecipato assieme agli studenti medi e a molte autorità. Ho fatto tappa con gli amici da Vito, dove, tra l'altro, ho scritto parte dei miei libri firmati assieme a Loriano Macchiavelli. A mezzanotte e mezzo il locale era quasi vuoto. Nel '77 cominciava a riempirsi a quell'ora. Noi ci facevamo scrupolo. Uno diceva: "Andiamo da Vito?" E l'altro rispondeva: "Non sarà un po' presto?"". Repubblica Bologna VALERIO VARESI

1 commento:

  1. Guccini è amico mio, sono stato a Pavana una settimana, e ricordo Vito come le Dame, altra osteria storica della Bologna porticata. Penso che, come dice Guccini stesso, un periodo così non tornerà più.

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