Clamorosa anticipazione, forse domenica sera Guccini torna PER LA TERZA VOLTA da Fabio Fazio a "Che tempo che fa", per presentare la sua "quasi biografia"!
Dopo Aldo Busi sull'isola, ci dobbiamo aspettare anche un Francesco presenzialista (sia pure su rai3)?
giovedì 4 marzo 2010
Noi ex-zappatori
Il Secolo XIX
Flash di vita vissuta tra l’amatissima Pavana, piccolo paese dell’Appennino, Modena e Bologna raccontati in prima persona alla soglia dei 70 anni. Per la prima volta Francesco Guccini si racconta in una `quasi´ autobiografia (così ama definirla) intitolata `Non so che viso avesse´, scritta a quattro mani con l’amico e italianista Alberto Bertoni. Un titolo che è anche l’incipit della memorabile `Locomotiva´, canzone che dura otto minuti e scritta in 20 per la quale Guccini non nasconde ancora l’orgoglio.
«Sono stato subito molto fiero di quella canzone», ha ammesso davanti al pubblico (soprattutto giovani) che gremiva la libreria fino ai piani superiori. «La prima strofa in realtà è stata scritta per ultima - ha rivelato - perché scrivendo la canzone, mi sono accorto che mancava il cappello e comunque ricordo che mentre scrivevo, prendevo appunti sulle strofe successive». Ma a parlare del suo lavoro e soprattutto delle sue canzoni non è il cantautore modenese.
Nel libro il compito è affidato espressamente a Bertoni. «Io di me racconto poco e niente se Dio vuole», ha spiegato Guccini con ironia. Essenzialmente «episodi della mia vita tra Pavana, Modena e Bologna, le orchestre, i concerti, tutto qui». Poco gossip, però, ha chiarito. «Mi dispiace ma non ci sono gossip. Mi tengo buono per scriverne in un altro libro», ha annunciato ridendo, aggiungendo invece - seriamente - che in cantiere ha un altro giallo che sta scrivendo con Loriano Macchiavelli e senza il famoso personaggio del maresciallo Santovito. Poi, ricordando gli esordi con piccoli complessi nelle balere ha osservato: «Allora eravamo un pò degli zappatori, non sapevamo dove mettere le mani e avevamo il terrore di sbagliare». Ciononostante ai concerti «le sale erano piene, spesso il palco gremito di gente e a volte si facevano due concerti nella stessa sera». Come i Beatles? «Sì ma loro erano in quattro e io da solo», ha ironizzato ancora. Infine alla domanda dal pubblico sulla perdita della memoria o di certi valori fra i giovani, Guccini ha risposto un pò amaro: «Non solo la memoria hanno perso. Se si pensa per chi votano gli italiani oggi...»
Flash di vita vissuta tra l’amatissima Pavana, piccolo paese dell’Appennino, Modena e Bologna raccontati in prima persona alla soglia dei 70 anni. Per la prima volta Francesco Guccini si racconta in una `quasi´ autobiografia (così ama definirla) intitolata `Non so che viso avesse´, scritta a quattro mani con l’amico e italianista Alberto Bertoni. Un titolo che è anche l’incipit della memorabile `Locomotiva´, canzone che dura otto minuti e scritta in 20 per la quale Guccini non nasconde ancora l’orgoglio.
«Sono stato subito molto fiero di quella canzone», ha ammesso davanti al pubblico (soprattutto giovani) che gremiva la libreria fino ai piani superiori. «La prima strofa in realtà è stata scritta per ultima - ha rivelato - perché scrivendo la canzone, mi sono accorto che mancava il cappello e comunque ricordo che mentre scrivevo, prendevo appunti sulle strofe successive». Ma a parlare del suo lavoro e soprattutto delle sue canzoni non è il cantautore modenese.
Nel libro il compito è affidato espressamente a Bertoni. «Io di me racconto poco e niente se Dio vuole», ha spiegato Guccini con ironia. Essenzialmente «episodi della mia vita tra Pavana, Modena e Bologna, le orchestre, i concerti, tutto qui». Poco gossip, però, ha chiarito. «Mi dispiace ma non ci sono gossip. Mi tengo buono per scriverne in un altro libro», ha annunciato ridendo, aggiungendo invece - seriamente - che in cantiere ha un altro giallo che sta scrivendo con Loriano Macchiavelli e senza il famoso personaggio del maresciallo Santovito. Poi, ricordando gli esordi con piccoli complessi nelle balere ha osservato: «Allora eravamo un pò degli zappatori, non sapevamo dove mettere le mani e avevamo il terrore di sbagliare». Ciononostante ai concerti «le sale erano piene, spesso il palco gremito di gente e a volte si facevano due concerti nella stessa sera». Come i Beatles? «Sì ma loro erano in quattro e io da solo», ha ironizzato ancora. Infine alla domanda dal pubblico sulla perdita della memoria o di certi valori fra i giovani, Guccini ha risposto un pò amaro: «Non solo la memoria hanno perso. Se si pensa per chi votano gli italiani oggi...»
Guccini e "il suo biografo" a Bologna
Da notare all'inizio, durante la lettura "della grande overture" del presentatore, come mulina la manona con gesto minimizzatore!
Tango italiano
recensione di Roat, F., L'Indice 1998, n. 1
Qual è il senso dell'approdo in Argentina (onirico o reale, poco importa) narrato nell'ultimo racconto-resoconto di Rino Genovese? Cosa rappresenta la figura del viaggiatore di questo nuovo "falso diario" latinoamericano - il cui spunto questa volta non è rappresentato da Cuba, come nel precedente "Cuba, falso diario" (Bollati Boringhieri, 1993), ma dalla peregrinazione attraverso una Buenos Aires straniante - e il suo trascinarsi con lo sguardo da visitatore di un acquario per una metropoli degna del miglior Borges, se non l'occasione di osservare se stesso e l'Italia dagli antipodi, guardando ai propri casi dall'altra sponda dell'oceano?
In uno stato di perenne dormiveglia, l'io narrante, "dandy pagato dallo Stato" per una non ben precisata ricerca a livello universitario, percorre dunque Buenos Aires senza una meta precisa che non sia il lasciarsi andare, il perdersi nella malinconica geografia delle sue vie, disseminate di sconnessioni e buche, allusive forse al tragitto mai piano o pianificabile dell'esistenza stessa, in una sorta di preparativo di viaggio all'insegna di una peregrinazione virtuale, tutta giocata sull'immaginario. Giacché l'indagine di Genovese, più che rivolta a esplorare spazi concreti pare attenta a riflettere sulla Storia recente argentina: dalla rivolta studentesca e operaia del '69, preludio alla crisi della dittatura di Onganía, sino al ritorno di Perón, e al colpo di Stato.
In compagnia di una giovane neoperonista, Eva, dal nome sin troppo evocativo, il protagonista vagabondando per Buenos Aires, la città "costruita sopra un cimitero", ripercorre il passato di stragi, torture e dei trentamila "desaparecidos", interrogandosi sulle ragioni della malinconia di questa metropoli "letteraria e terribile", forse non riconducibile solo alla tristezza del sottosviluppo, ma a un orrore che non si può esorcizzare quando i giornali e la televisione ti costringono ad assistere alla macabra girandola di pentimento/giustificazionismo da parte degli assassini. Il regista Solanas, candidato (senza alcuna "chance") alla presidenza della Repubblica, affida al protagonista l'incarico di stendere un rapporto sull'Italia. Così la prospettiva si ribalta, nel tentativo di focalizzare i tratti peculiari di una "patria impossibile", che appare come un'Argentina "senza mito e senza tragedia", una "frontiera moderata" del mondo, dove tutto sembra stemperarsi in conformismo, cinico disincanto o rassegnazione.
Disincanto che è pure l'angolo prospettico da cui Genovese, nel suo vagabondare da "flaneur" solo all'apparenza svagato, raffigura situazioni e persone con una felicità di scrittura che maschera una prosa sorvegliatissima e calibrata nel dosaggio di scampoli di Storia e vita, cui si alternano gli intervalli d'una accidia tutta letteraria che, se favorisce la disamina interiore, s'accompagna pur sempre al peregrinare attraverso i luoghi d'una leggenda (la città labirinto di Borges, appunto).Questi sono a loro volta scaltri pretesti per commenti, note didascaliche e riflessioni tra il politico e il sociologico, talvolta un po' forzate all'interno di un testo narrativo. Il progetto di misurarsi col passato per poter meglio fronteggiare l'oggi - cioè fare storia strappando "brandelli di possibilità alla pesante trama dell'esistente" - viene però frustrato dall'opacità e dallo stallo di un presente in cui Genovese non riesce a cogliere segni di rinnovamento.
Ma "Tango italiano", di là dalle tentazioni saggistiche, si può anche leggere come un racconto d'amore irrisolto non solo per l'enigmatica Eva (o l'Argentina), ma anche per l'Italia. Meglio, come la narrazione di pluri-mi rapporti d'amore-odio.Ritornato dall'America al luogo di partenza e appartenenza, Genovese conclude che, se la vita e la storia ci paiono "un girare a vuoto e un movimento immobile", ciò non comporta la necessità di ridurle senz'altro alla rappresentazione intellettuale di un labirinto senza sbocchi.
Così il protagonista, in un ritorno di fiamma d'entusiasmo, nella pagina finale che reinnesca in modo simpatico l'avvio del libro, opterà per la non facile decisione di testimoniare la propria crisi mediante un "diario", assai più pubblico che privato, alla scoperta della realtà contemporanea, assumendo coraggiosamente su di sé la mai lieve responsabilità "del dire e dello scrivere".
Qual è il senso dell'approdo in Argentina (onirico o reale, poco importa) narrato nell'ultimo racconto-resoconto di Rino Genovese? Cosa rappresenta la figura del viaggiatore di questo nuovo "falso diario" latinoamericano - il cui spunto questa volta non è rappresentato da Cuba, come nel precedente "Cuba, falso diario" (Bollati Boringhieri, 1993), ma dalla peregrinazione attraverso una Buenos Aires straniante - e il suo trascinarsi con lo sguardo da visitatore di un acquario per una metropoli degna del miglior Borges, se non l'occasione di osservare se stesso e l'Italia dagli antipodi, guardando ai propri casi dall'altra sponda dell'oceano?
In uno stato di perenne dormiveglia, l'io narrante, "dandy pagato dallo Stato" per una non ben precisata ricerca a livello universitario, percorre dunque Buenos Aires senza una meta precisa che non sia il lasciarsi andare, il perdersi nella malinconica geografia delle sue vie, disseminate di sconnessioni e buche, allusive forse al tragitto mai piano o pianificabile dell'esistenza stessa, in una sorta di preparativo di viaggio all'insegna di una peregrinazione virtuale, tutta giocata sull'immaginario. Giacché l'indagine di Genovese, più che rivolta a esplorare spazi concreti pare attenta a riflettere sulla Storia recente argentina: dalla rivolta studentesca e operaia del '69, preludio alla crisi della dittatura di Onganía, sino al ritorno di Perón, e al colpo di Stato.
In compagnia di una giovane neoperonista, Eva, dal nome sin troppo evocativo, il protagonista vagabondando per Buenos Aires, la città "costruita sopra un cimitero", ripercorre il passato di stragi, torture e dei trentamila "desaparecidos", interrogandosi sulle ragioni della malinconia di questa metropoli "letteraria e terribile", forse non riconducibile solo alla tristezza del sottosviluppo, ma a un orrore che non si può esorcizzare quando i giornali e la televisione ti costringono ad assistere alla macabra girandola di pentimento/giustificazionismo da parte degli assassini. Il regista Solanas, candidato (senza alcuna "chance") alla presidenza della Repubblica, affida al protagonista l'incarico di stendere un rapporto sull'Italia. Così la prospettiva si ribalta, nel tentativo di focalizzare i tratti peculiari di una "patria impossibile", che appare come un'Argentina "senza mito e senza tragedia", una "frontiera moderata" del mondo, dove tutto sembra stemperarsi in conformismo, cinico disincanto o rassegnazione.
Disincanto che è pure l'angolo prospettico da cui Genovese, nel suo vagabondare da "flaneur" solo all'apparenza svagato, raffigura situazioni e persone con una felicità di scrittura che maschera una prosa sorvegliatissima e calibrata nel dosaggio di scampoli di Storia e vita, cui si alternano gli intervalli d'una accidia tutta letteraria che, se favorisce la disamina interiore, s'accompagna pur sempre al peregrinare attraverso i luoghi d'una leggenda (la città labirinto di Borges, appunto).Questi sono a loro volta scaltri pretesti per commenti, note didascaliche e riflessioni tra il politico e il sociologico, talvolta un po' forzate all'interno di un testo narrativo. Il progetto di misurarsi col passato per poter meglio fronteggiare l'oggi - cioè fare storia strappando "brandelli di possibilità alla pesante trama dell'esistente" - viene però frustrato dall'opacità e dallo stallo di un presente in cui Genovese non riesce a cogliere segni di rinnovamento.
Ma "Tango italiano", di là dalle tentazioni saggistiche, si può anche leggere come un racconto d'amore irrisolto non solo per l'enigmatica Eva (o l'Argentina), ma anche per l'Italia. Meglio, come la narrazione di pluri-mi rapporti d'amore-odio.Ritornato dall'America al luogo di partenza e appartenenza, Genovese conclude che, se la vita e la storia ci paiono "un girare a vuoto e un movimento immobile", ciò non comporta la necessità di ridurle senz'altro alla rappresentazione intellettuale di un labirinto senza sbocchi.
Così il protagonista, in un ritorno di fiamma d'entusiasmo, nella pagina finale che reinnesca in modo simpatico l'avvio del libro, opterà per la non facile decisione di testimoniare la propria crisi mediante un "diario", assai più pubblico che privato, alla scoperta della realtà contemporanea, assumendo coraggiosamente su di sé la mai lieve responsabilità "del dire e dello scrivere".
mercoledì 3 marzo 2010
Tango per due

Coppia che sta silenziosa, un po' rigida e in posa, a ballare, una sera:
la vita è solo una cosa rimasta indietro non c'è più, ma c'era;
composta e indomenicata, eleganza sfuocata raggiunta a fatica,
l' oggi ha cambiato facciata, ma di quell' ieri passato io so
che tante ne potreste raccontare e il ricordo stempera e non guasta
Rivivere l'emozione del molino, live
Non è il . mulino di Chicon (restaurato ma purtroppo non più funzionante), questo sta una settantina di chilometri più a est, ma doveva proprio funzionare bene come questo
Consueto bagno di folla a Bologna
BOLOGNA, 2 MAR. – È proprio vero , un talento si ammira in tutte le sue sfaccettature , anche quando non è all’opera , quell’opera per cui noi comunemente lo riconosciamo come talento .
Francesco Guccini si racconta ad una platea che ha superato le aspettative della libreria Ambasciatori , tanto che i circa 200 funs e curiosi si sono sistemati in qualunque parte della libreria , anche sul palco stesso , come nello stile dell’autore atteso , creando un ambiente caldo ed informale.
Il cantautore presenta un’autobiografia “a quattro mani” così come è stata definita da Bertoni ( il quale ha collaborato allo scritto) , un libro che ripercorre gli episodi della sua vita , ma come tiene a precisare Guccini , non contiene gossip particolari .
“Non so che viso avesse” è il titolo del libro (Mondadori , 228 pagine ) , frase che rievoca l’incipit della celebre “La locomotiva” , canzone con cui Guccini ancora oggi conclude tutti i suoi concerti.
Ripensa insieme all’amico Bertoni , che gli fa da spalla , agli anni degli esordi con particolari aneddoti , ricorda i primi concerti , gli amici passati e il suo primo contratto : “ mio padre mi disse , centomila lire oggi , e poi domani?” , si presenta così , come un ragazzo semplice della vecchia Modena che fa successo per amore per la musica e , rivela oggi , anche per storie di donne intrecciate con la sua giovinezza.
Tra una botta e risposta l’incontro si conclude con le domande di rito da parte del pubblico il quale , ironizzando con lui , solleva il problema politico , ed alla domanda “ perché gli Italiani hanno la memoria corta ?” lui risponde “ Gli Italiani non hanno memoria completamente se guardiamo a chi votano !”
Laura Pergolizzi
Francesco Guccini si racconta ad una platea che ha superato le aspettative della libreria Ambasciatori , tanto che i circa 200 funs e curiosi si sono sistemati in qualunque parte della libreria , anche sul palco stesso , come nello stile dell’autore atteso , creando un ambiente caldo ed informale.
Il cantautore presenta un’autobiografia “a quattro mani” così come è stata definita da Bertoni ( il quale ha collaborato allo scritto) , un libro che ripercorre gli episodi della sua vita , ma come tiene a precisare Guccini , non contiene gossip particolari .
“Non so che viso avesse” è il titolo del libro (Mondadori , 228 pagine ) , frase che rievoca l’incipit della celebre “La locomotiva” , canzone con cui Guccini ancora oggi conclude tutti i suoi concerti.
Ripensa insieme all’amico Bertoni , che gli fa da spalla , agli anni degli esordi con particolari aneddoti , ricorda i primi concerti , gli amici passati e il suo primo contratto : “ mio padre mi disse , centomila lire oggi , e poi domani?” , si presenta così , come un ragazzo semplice della vecchia Modena che fa successo per amore per la musica e , rivela oggi , anche per storie di donne intrecciate con la sua giovinezza.
Tra una botta e risposta l’incontro si conclude con le domande di rito da parte del pubblico il quale , ironizzando con lui , solleva il problema politico , ed alla domanda “ perché gli Italiani hanno la memoria corta ?” lui risponde “ Gli Italiani non hanno memoria completamente se guardiamo a chi votano !”
Laura Pergolizzi
Iscriviti a:
Post (Atom)