martedì 29 dicembre 2009
giovedì 24 dicembre 2009
mercoledì 23 dicembre 2009
"Non so che viso avesse" nuovo libro a febbraio
Dal Corriere di oggi - Francesca Blesio
libro in uscita a febbraio
Il vecchio e il bambino, Guccini si racconta
L'autobiografia del cantautore: l'infanzia, le osterie, le canzoni, la maturità
Per ora ci sono solo le bozze. Ma a febbraio la vita di Francesco Guccini sarà in tutte le librerie. Giusto quattro mesi prima del suo settantesimo compleanno, il cantautore di Pavana uscirà con un nuovo romanzo. E non avrà nulla a che vedere con il filone inaugurato da «Cronache Epifaniche» o i gialli scritti a braccetto con Loriano Macchiavelli. Sarà la sua autobiografia. E il titolo scelto per il racconto dei suoi primi settant’anni è «Non so che viso avesse», l’incipit della Locomotiva, una delle canzoni più famose e più calde del suo repertorio. Sarà edito da Mondadori e dovrebbe contare circa 240 pagine. Una sorta di «Meridiano» gucciniano, vista la mole dell’opera e l’approfondimento letterario presente nel testo.
A QUATTRO MANI - Non si tratterà di un racconto in prima persona che parte dall’inizio di tutto e si conclude con il presente, in linea con il più classico genere autobiografico, ma si svilupperà in due parti. La prima sarà scritta da Francesco Guccini in persona, che per l’occasione — raccontano gli amici — si è finalmente deciso a comprare un computer nuovo. La seconda è stata affidata ad Alberto Bertoni, modenese e poeta come il «Maestro», e professore di Letteratura italiana contemporanea dell’Alma Mater.
I LUOGHI - La parte scritta da Guccini procede per luoghi. E i luoghi sono quelli delle osterie, dei concerti, degli Appennini, e via dicendo. Pavana, il suo paese, dovrebbe avere un capitolo tutto per sé. «Il posto dove impari a parlare, a camminare, a fare le prime cose della vita, insomma, è – a detta dello stesso Guccini - quello che ti segna per la vita». Ecco che il paesino dove il cantautore ha vissuto i primissimi anni della sua vita e che ha scelto nella maturità per allontanarsi dal caos di Bologna, diventa uno dei luoghi privilegiati nei quali leggere della sua storia. Ma anche le osterie, quelle che «sono ancora aperte come un tempo» ma che in alcuni casi «la gente che ci andava a bere fuori e dentro è tutta morta», avranno le loro pagine. Sarà citato «Vito» e probabilmente il «Moretto», nelle cui sale frequentate allora da diversi artisti, tra i quali Andrea Pazienza, nacque la mitica «Canzone delle Osterie di fuori porta». L’ispirazione arrivò da lì, e da quei concerti improvvisati nella notte tra una risata e un bicchiere di rosso. In «Non so che viso avesse», titolo provvisorio ma fortemente indiziato a finire sulla copertina del libro, ci sarà tutto Guccini. Da Modena a Pavana, passando per Bologna, la «vecchia signora coi fianchi un po’ molli».
LE CANZONI - E dai libri alle canzoni, quelle che ancora oggi portano i palasport a riempirsi fino a scoppiare e uniscono tre generazioni come minimo. Bisogna andare indietro nel tempo per ricordare l’inizio di tutto. Era il 1967 quando il giovane Francesco esordiva in veste di autore al Festival di Sanremo con «Una storia d’amore». Nello stesso anno usciva il suo primo disco: «Folk Beat n.1». Ma il successo vero arrivò nel ’72 con «Radici», l’album in cui si trova l’immortale «Il vecchio e il bambino». Ed esplose con l’ellepi che ha il nome del suo indirizzo alla Cirenaica: «Via Paolo Fabbri 43». Con i dischi sono arrivate anche le parole prive di accompagnamento musicale. È del 1989 «Cronache Epifaniche», il primo libro della sua carriera di romanziere. «Arrivato alla mia età, so che gli anni che mi rimangono sono meno di quelli già andati, per cui mi tengo stretto il mio mondo e continuo a raccontarlo», diceva qualche tempo fa. E se Guccini si è concentrato sui «suoi» luoghi, Bertoni, nella seconda parte del libro, ha scritto della vita del «Maestro» attraverso le sue canzoni, ovviamente riportandone i passi più significativi e analizzandone i versi. Il libro verrà dato alle stampe dopo mesi e mesi di lavoro e diversi cambi di rotta. Le bozze (ora in mano all’editor Beppe Cottafavi) sono pronte e l’uscita è attesa per febbraio. «Mi limito a raccontare la vita attraverso i paradossi della mia esistenza», dichiarò una volta Guccini. E tra due mesi ci sarà la sua vita da leggere. Paradossi compresi.
martedì 22 dicembre 2009
"Bisognava volare..." a 30 anni dalle "5 anatre"
lunedì 21 dicembre 2009
domenica 20 dicembre 2009
Quei cinema dai nebbioni atomici
psicologo sul set, un divertimento
«Mi rivedo con imbarazzo ma il cinema è sempre stata la mia passione» - Intervista del Corriere
ROMA — «Con Leonardo ho fatto tre comparsate, o camei come si dice. Preside in Ti amo in tutte le lingue del mondo , regista di una scalcagnata compagnia di musical in Una moglie bellissima. E ora psicologo in Io & Marilyn ». Leonardo è Pieraccioni e chi parla è Francesco Guccini, 70 anni a giugno, storico cantastorie. Ma forse bisogna mettere il trattino e aggiungere attore. «L’ho fatto anche in Radiofreccia di Ligabue, in un film di Enzo Monteleone facevo il padre di Stefano Accorsi, poi in uno di Benni dove c’erano Dario Fo e Paolo Rossi. Sempre comparsate, intendiamoci. Pieraccioni venne a sentire un mio concerto a Firenze e dopo mi chiese di recitare. Accettai per divertimento».
Conosceva Pieraccioni? «Avevo visto gli altri suoi film: divertenti, ben confezionati. Leonardo non sogna di essere Bergman».
Cosa le dice prima del ciak? «Niente, chi sta sul palco è già un po’ attore. Spero di essere all’altezza. Se mi rivedo? Sì ma con grande imbarazzo».
Se le offrissero un ruolo da protagonista? «Oddio, bisogna vedere... Ma il cinema è scomodo, è lento, bisogna star lì ad aspettare, per pochi giorni va bene».
Va al cinema? «Molto meno da quando mi sono trasferito in montagna, sugli Appennini, nel paesino dei miei. Quando ci venivo d’estate, un mio parente gestiva una specie di arena con gli altoparlanti, le pellicole rigatissime, pioveva sempre. A Bologna li vedevo un po’ tutti, i western, Fellini. In sala si fumava e c’erano dei nebbioni atomici, poi si entrava che lo spettacolo era già cominciato e si diceva: Ecco, siamo arrivati qua . Un amico di montagna era fissato: tu che abiti in città, a Bologna, chissà quanti film vedi. Ma io non ero di famiglia ricca e allora i film li inventavo, li giravo nella mia testa, traducevo dei libri come film che raccontavo agli amici » .
Lei ha detto che fu un film a indirizzarle la vita... «Ah sì, un film con gruppetti americani che facevano rock’n’roll anni ’50, c’era un gara, chi vinceva andava a suonare per le scout-girls. Noi non è che avessimo tante ragazze...».
Pieraccioni si circonda di belle attrici... «Quando giro io però non ci sono mai » .
C’è chi dice che il regista toscano fa sempre lo stesso film. «Lo dicono anche a me che rifaccio sempre la stessa canzone. No, piuttosto Leonardo ha tirato fuori una vena malinconica e di tristezza. Se leggi i suoi racconti finiscono tutti male. Nella vita è davvero simpatico, divertente».
E Ligabue come regista? «Buono. Aveva una specie di Virgilio che gli faceva da assistente e lo indirizzava, ma è meticoloso e si è dato da fare».
Lei nella commedia di Pieraccioni fa lo strizzacervelli: se dovesse analizzare qualcuno nello spettacolo? «Andrei da una rockstar tipo Madonna. Fanno delle richieste assurde: nei camerini voglio dieci asciugamani verdi. Io quando vado in Toscana ho degli amici del Monte Amiata che mi portano porchetta e formaggio. In America la competizione dev’essere fortissima e chi emerge si sente sciolto da ogni regola. Ci sono artisti che diventano come i poeti maledetti francesi dell’800, le droghe e dissociazioni continue. I gestori degli alberghi sono terrorizzati quando arrivano i cantanti » .
In una scena Pieraccioni evoca Marilyn durante una seduta spiritica... «Io chiamerei un mio prozio che andò a fare il minatore in Usa; o Michael Jackson, circondato da centinaia di persone che gli stravolgono la vita. Che vita infernale deve aver fatto».
Com’era la Rimini di Fellini vista da Bologna? « Amarcord è un capolavoro anche se il mio preferito è La grande guerra di Monicelli. Ci sono molte differenze tra l’Emilia e la Romagna. I romagnoli sono i meridionali del Nord, ciarlieri, di cuore, attaccabrighe, amano la buona tavola. Però anche lì ci sono differenze tra romagnoli di terra e di mare».
Lei aveva promesso un cd nuovo... «Ho scritto tre canzoni nuove, ne riparliamo quando arrivo a sette».
Perdoni: si considera un sopravvissuto? «No, perché? Per alcuni sembra che abbia scritto solo La locomotiva . Sono di sinistra come lo ero anni fa. Ma non mi considero un autore politico, anzi sono più intimista- esistenzialista, anche se uno che parla di se stesso, con le opinioni che ha, cade in un vizio politico».
Caetano Veloso ha dedicato un brano a Antonioni. Mai scritto per un cineasta? «No. Ma ho collaborato con Gian Piero Alloisio che ne ha dedicate due: una, ironica, si chiama Dovevo fare del cinema . E l’altra a Marilyn che, guarda caso, è la musa del film di Pieraccioni».
L’ultimo film che ha visto? «Risale a parecchio fa. Al cinema vado su spinta della mia compagna che mi porta a vedere Harry Potter, i vampiri. Io le dico: visto uno visti tutti. Infatti agli ultimi c’è andata da sola».
Valerio Cappelli
20 dicembre 2009
venerdì 18 dicembre 2009
"Io e Marilyn" delude la critica, ma gli attori.....
di Maria Grazia Bosu
dell'Eco del cinema