Guccini attore per Pieraccioni:
psicologo sul set, un divertimento
«Mi rivedo con imbarazzo ma il cinema è sempre stata la mia passione» - Intervista del Corriere
ROMA — «Con Leonardo ho fatto tre comparsate, o camei come si dice. Preside in Ti amo in tutte le lingue del mondo , regista di una scalcagnata compagnia di musical in Una moglie bellissima. E ora psicologo in Io & Marilyn ». Leonardo è Pieraccioni e chi parla è Francesco Guccini, 70 anni a giugno, storico cantastorie. Ma forse bisogna mettere il trattino e aggiungere attore. «L’ho fatto anche in Radiofreccia di Ligabue, in un film di Enzo Monteleone facevo il padre di Stefano Accorsi, poi in uno di Benni dove c’erano Dario Fo e Paolo Rossi. Sempre comparsate, intendiamoci. Pieraccioni venne a sentire un mio concerto a Firenze e dopo mi chiese di recitare. Accettai per divertimento».
Conosceva Pieraccioni? «Avevo visto gli altri suoi film: divertenti, ben confezionati. Leonardo non sogna di essere Bergman».
Cosa le dice prima del ciak? «Niente, chi sta sul palco è già un po’ attore. Spero di essere all’altezza. Se mi rivedo? Sì ma con grande imbarazzo».
Se le offrissero un ruolo da protagonista? «Oddio, bisogna vedere... Ma il cinema è scomodo, è lento, bisogna star lì ad aspettare, per pochi giorni va bene».
Va al cinema? «Molto meno da quando mi sono trasferito in montagna, sugli Appennini, nel paesino dei miei. Quando ci venivo d’estate, un mio parente gestiva una specie di arena con gli altoparlanti, le pellicole rigatissime, pioveva sempre. A Bologna li vedevo un po’ tutti, i western, Fellini. In sala si fumava e c’erano dei nebbioni atomici, poi si entrava che lo spettacolo era già cominciato e si diceva: Ecco, siamo arrivati qua . Un amico di montagna era fissato: tu che abiti in città, a Bologna, chissà quanti film vedi. Ma io non ero di famiglia ricca e allora i film li inventavo, li giravo nella mia testa, traducevo dei libri come film che raccontavo agli amici » .
Lei ha detto che fu un film a indirizzarle la vita... «Ah sì, un film con gruppetti americani che facevano rock’n’roll anni ’50, c’era un gara, chi vinceva andava a suonare per le scout-girls. Noi non è che avessimo tante ragazze...».
Pieraccioni si circonda di belle attrici... «Quando giro io però non ci sono mai » .
C’è chi dice che il regista toscano fa sempre lo stesso film. «Lo dicono anche a me che rifaccio sempre la stessa canzone. No, piuttosto Leonardo ha tirato fuori una vena malinconica e di tristezza. Se leggi i suoi racconti finiscono tutti male. Nella vita è davvero simpatico, divertente».
E Ligabue come regista? «Buono. Aveva una specie di Virgilio che gli faceva da assistente e lo indirizzava, ma è meticoloso e si è dato da fare».
Lei nella commedia di Pieraccioni fa lo strizzacervelli: se dovesse analizzare qualcuno nello spettacolo? «Andrei da una rockstar tipo Madonna. Fanno delle richieste assurde: nei camerini voglio dieci asciugamani verdi. Io quando vado in Toscana ho degli amici del Monte Amiata che mi portano porchetta e formaggio. In America la competizione dev’essere fortissima e chi emerge si sente sciolto da ogni regola. Ci sono artisti che diventano come i poeti maledetti francesi dell’800, le droghe e dissociazioni continue. I gestori degli alberghi sono terrorizzati quando arrivano i cantanti » .
In una scena Pieraccioni evoca Marilyn durante una seduta spiritica... «Io chiamerei un mio prozio che andò a fare il minatore in Usa; o Michael Jackson, circondato da centinaia di persone che gli stravolgono la vita. Che vita infernale deve aver fatto».
Com’era la Rimini di Fellini vista da Bologna? « Amarcord è un capolavoro anche se il mio preferito è La grande guerra di Monicelli. Ci sono molte differenze tra l’Emilia e la Romagna. I romagnoli sono i meridionali del Nord, ciarlieri, di cuore, attaccabrighe, amano la buona tavola. Però anche lì ci sono differenze tra romagnoli di terra e di mare».
Lei aveva promesso un cd nuovo... «Ho scritto tre canzoni nuove, ne riparliamo quando arrivo a sette».
Perdoni: si considera un sopravvissuto? «No, perché? Per alcuni sembra che abbia scritto solo La locomotiva . Sono di sinistra come lo ero anni fa. Ma non mi considero un autore politico, anzi sono più intimista- esistenzialista, anche se uno che parla di se stesso, con le opinioni che ha, cade in un vizio politico».
Caetano Veloso ha dedicato un brano a Antonioni. Mai scritto per un cineasta? «No. Ma ho collaborato con Gian Piero Alloisio che ne ha dedicate due: una, ironica, si chiama Dovevo fare del cinema . E l’altra a Marilyn che, guarda caso, è la musa del film di Pieraccioni».
L’ultimo film che ha visto? «Risale a parecchio fa. Al cinema vado su spinta della mia compagna che mi porta a vedere Harry Potter, i vampiri. Io le dico: visto uno visti tutti. Infatti agli ultimi c’è andata da sola».
Valerio Cappelli
20 dicembre 2009
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