«Ma che bel palazzetto, se fossi il signor Berlusconi direi che l’hanno fatto per me. Anzi direi “l’ho fatto io”!», scherza Francesco Guccini dal palco del Palasport San Lazzaro di Padova, messo a nuovo e inaugurato proprio venerdì dal cantautore modenese. Non è solo (ottima) musica un concerto di Guccini. È anche racconto, battute fulminanti e siparietti con il pubblico e con la band, momenti che rendono unici gli appuntamenti con la voce più coerente e vitale che la musica italiana abbia mai avuto. Prima di iniziare le due ore e mezza di concerto (che quasi non fanno credere alle 69 primavere del cantautore) un’altra battuta, questa volta sulla candidatura di Brunetta a sindaco di Venezia «che forse non ha pensato all’acqua alta», poi è tempo di musica.
Come ogni rito che si rispetti il concerto è aperto da «Canzone per un’amica» (da sempre la canzone d’avvio dei suoi live) e il pubblico del palazzetto sold out (più di 5.500 persone) la canta assieme, platea «educata» da chissà quanti altri concerti, rigorosamente seduta a terra fino alle ultime canzoni. Poi Guccini riscopre qualche vecchio brano di una carriera che supera i 40 anni, «Il tema», «Noi non ci saremo» (con arrangiamenti nuovi). «Non posso farle tutte – risponde alle richieste dal pubblico - ci vorrebbero tre mesi», e poi ancora «Canzone delle osterie di fuori porta», «Vedi cara», e un’infilata di tre brani da togliere il fiato, vette della produzione di Guccini, «Canzone quasi d’amore», «Incontro» e «Farewell». Un gioco con il tempo quando presenta una canzone del 1964 pubblicata live solo nell’album «Quasi come Dumas», «Ti ricordi quei giorni», affiancandola a due inediti, «Su in collina» e «Il testamento del pagliaccio».
Ancora spazio ad un siparietto in cui il cantautore modenese, un po’ Keaton e un po’ Dylan, spiega che vorrebbe andare per un mese in una balera ad Amburgo con un nuovo gruppo, i Fusti all’italiana, e proporre un repertorio tristissimo, come «Il torrente» e «Vola colomba» che la band si mette a suonare. Guccini regala un'altra interpretazione inedita della canzone di Nilla Pizzi prima di interrompere «l’ignobile performance» tra le risate del pubblico. La scaletta passa da «Don Chisciotte» a «Eskimo» (altro capolavoro), fino a «Cirano», saltando tra decadi diverse di una produzione di immutata qualità. Il finale è dedicata ai classici senza tempo, «Il vecchio e il bambino», «Auschwitz». Un intermezzo con «Un altro giorno è andato», poi il finale è scritto da anni, ma sempre nuovo, «Dio è morto» e la canzone simbolo, «La locomotiva». Qui si è tutti in piedi. Le luci si accendono e l’arrivederci di Guccini è una promessa più che un saluto.
Francesco Verni Corriere della Sera 23 gennaio 2010
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