Antonio Socci scrive a Francesco
Caro Francesco Guccini,
già a 16 anni amavo le tue canzoni (e il tuo poetare “di-vino”) e mi fa un po’ ridere scoprire che ti sia messo a parlare di me in tv, perché in fondo mi penso sempre come il figlio di un minatore delle colline senesi. Tu nel ’74 eri già un mito (disgraziatamente di sinistra) quando io imparavo la fede cattolica e il disgusto del comunismo da mio padre, fiero militante democristiano che aveva rischiato grosso prima con i rastrellamenti dei tedeschi poi con le elezioni del 1948, ed era scampato in miniera agli scoppi di grisù (lui ebbe “solo” una mano tranciata).Ed oggi eccoti sulla tv dei vescovi che mi impartisci lezioni di “francescomania” (dove Francesco sta per papa Bergoglio e non per Guccini o per Totti).
Mi fa tenerezza vedere con quanto imbarazzo ti fai vestire da zuavo pontificio, tu che cantavi «Venite gente vuota, facciamola finita,/ voi preti che vendete a tutti un’altra vita;/ se c’è, come voi dite, un Dio nell’infinito,/ guardatevi nel cuore, l’avete già tradito». Proprio nei giorni in cui si scopre la storia tragicomica delle musicassette degli Inti Illimani e di Guccini ascoltate dai brigatisti rossi nei tristi anni Settanta, qualcuno ti vorrebbe - tu, ironico cantastorie d’Appennino - come gentiluomo di Sua Santità. Cito da La Stampa il resoconto di quell’intervista: «Guccini ribadisce a Tv2000 di non essere “mai stato un anticlericale militante”, anche se rivela, a proposito di Francesco, di non avere “simpatie per quelle gerarchie ecclesiastiche che lo stanno contrastando. Non capisco neppure il perché addirittura dell’astio” di alcuni (cita il giornalista e scrittore Antonio Socci) che “hanno una visione diversa della Chiesa e del Papa”. Forse perché “sta rivoluzionando. Dicono che sia una rivoluzione apparente, ma invece credo sia vera e sentita, la sua non è un’operazione furba”».
Intanto le “gerarchie ecclesiastiche” di cui tu parli sono proprio quelle che hanno “vestito di bianco” il cardinal Bergoglio, quelle che oggi lo acclamano, mostrando un duro cipiglio inquisitoriale verso i pochi temerari che osano esprimere qualche perplessità (per me poi c’è già un marchio d’infamia). Mi spiace sentire che pure tu ti unisci alla reprimenda della Corte contro i rarissimi dissidenti. In secondo luogo io non ho affatto una “mia” idea del papa e della Chiesa, ma ho semplicemente ricordato l’ “idea” di Colui che tu chiami “Cristo la tigre”, Colui che ha istituito la Chiesa e il papato: l’idea che si trova espressa in duemila anni di magistero e che nessuno - nemmeno questo papa - ha il potere di “rivoluzionare”. Infine, da giornalista, ho segnalato che le procedure seguite al Conclave del 2013 violano le norme e quindi potrebbero aver prodotto un’elezione nulla.
Nell’intervista tu dici: «Adesso è nata questa polemica su questo libro che Socci ha scritto; non riesco a capire il perché di questo astio nei confronti del papa». Mi piacerebbe sapere se il libro lo hai davvero letto, caro Guccini. Parliamone attorno a un bicchier di vino. Ma sentimenti come l’astio appartengono all’album di famiglia delle ideologie (come sai), non al mio. Io sono semplicemente fedele al cristianesimo che mi è stato insegnato, quello di sempre, quello dei martiri, dei santi, dei nostri avi e dei grandi artisti come il tuo Wiligelmo o Lanfranco o l’Antelami. E per questo ogni giorno, a messa, prego - e offro i pesi che sopporto - per papa Bergoglio.
Questa è un’epoca scristianizzata, ma clericale. Molti credono che essere cattolici significhi praticare una sorta di culto della personalità papale. E molti laici sono ancor più zelanti nella papolatria. Ma in realtà diventando cristiani ci si scopre uomini liberi e si assapora quella libertà dei figli di Dio che il mondo neanche immagina. Anche libertà dalla corte pontificia. Nel Medioevo fior di santi ci hanno testimoniato questa libertà, da san Pier Damiani a san Bernardo di Chiaravalle, da san Bruno a santa Caterina e santa Brigida: si rivolgevano ai papi del loro tempo (e alla loro Corte) con parole che a noi scandalizzerebbero. Dante colloca molti papi nell’Inferno e su quello vivente, Bonifacio VIII, che accusa di simonia, fa dire a san Pietro parole terrificanti: «Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio,/ il luogo mio, il luogo mio, che vaca / ne la presenza del Figliuol di Dio,/ fatt’ ha del cimitero mio cloaca /del sangue e de la puzza; onde ’l perverso/ che cadde di qua sù, là giù si placa». I medievali sapevano distinguere l’uomo dall’ufficio e potevano fulminare l’uomo con parole di fuoco, ma rispettando profondamente l’ufficio di Pietro. Io non userei mai quelle tremende espressioni, ma noto che il poema dantesco è stato esaltato dalla Chiesa come scrigno di teologia cattolica. Questa è la libertà dei figli di Dio.
Tu dunque ti dici grande ammiratore di papa Francesco e ciò mi rallegra. Poi aggiungi che sei non credente, agnostico come tanti e non riesco a pensare che il papa possa gioirne. Un cristiano non è felice di essere preferito a Cristo. Noi cristiani siamo tutti come l’asino su cui Gesù fece l’ingresso messianico a Gerusalemme. Nessun ciuchino può credere che gli “osanna” siano rivolti a lui: sono per il “Re umile” di Nazaret. E se qualcuno - come oggi accade - rimanesse affascinato da noi somarelli, anziché da Lui, «il più bello fra i figli dell’uomo», gli chiederemmo di aprire gli occhi, la mente e il cuore perché sta prendendo un abbaglio. Sulla fede hai un’idea sbagliata, quasi che si nascesse credenti o atei, come si nasce alti o bassi per natura. Ma non è così. La fede è un’esperienza per tutti ed è la festa della ragione. Tu affermi: «Io non sono ateo, ma sono agnostico. L’agnostico è più inquieto, non dice “Dio non c’è”, ma piuttosto “boh”». Certo, si può dire “boh” di fronte a una notizia, ma se è una notizia che ci riguarda, che riguarda ciò che abbiamo di più prezioso, è razionale e umano andare a verificarla: perché se è vera cambia tutta la vita.
Una tua canzone dice: «Ma bella più di tutte/ l’isola non trovata…/Il Re di Spagna fece vela/ cercando l’isola incantata,/ però quell’ isola non c’era/ e mai nessuno l’ha trovata:/ svanì di prua dalla galea/ come un’ idea,/ come una splendida utopia,/ è andata via e non tornerà mai più...». Ricevere l’annuncio cristiano è come essere raggiunti dalla notizia della scoperta di quell’isola che è il senso della vita. L’atteggiamento razionale è quello di chi vuol capire e verificare, ascolta i testimoni, guarda le immagini di quel mondo, infine parte e va a vedere quella nuova terra di persona. È esattamente quello che Gesù chiede fin dall’inizio del Vangelo: «Vieni e vedi». Ciò che la Chiesa ha anche tradotto così: «credi per capire», «coinvolgiti in una vita per toccare con mano». Mi pare irrazionale chi, pregiudizialmente, decreta che non è possibile che ci sia quell’isola e si copre gli occhi per non vedere e si tappa le orecchie per non sentire i testimoni e si rifiuta di partire. E dice “boh”, sprofondando in un triste scetticismo. Eppure è la terra che ci era sempre stata promessa, quella che da sempre avevamo desiderato e cercato con tutto il cuore. La nostra barca non può restare in porto con le vele arrotolate come nella poesia di Edgar Lee Masters.
Proprio tu, caro Guccini, con le tue canzoni, così intrise di Leopardi e di Gozzano, ci hai risvegliato la nostalgia di quell’isola, hai fatto innamorare la mia generazione delle vere, grandi domande della vita che urgevano nel cuore, sotto la coltre delle ideologie. Per questo a 18 anni, al liceo, io scrissi il mio primo volantino, firmato “Comunione e liberazione”, tutto con brani delle tue canzoni. Sorridendo dico che sei stato il mio Virgilio: «Facesti come quei che va di notte,/ che porta il lume dietro e sé non giova,/ ma dopo sé fa le persone dotte» (Pg XXII, 67-69). Ecco perché mi stringe il cuore quel tuo “boh”. Non è alla tua altezza. Tu sei di più.
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