venerdì 1 aprile 2011

Culodritto commemora Bonvi.

Il Fatto Quotidiano - Emilia Romagna - 31 marzo 2011 - di Teresa Guccini

Un grande giornalista vive nei rimandi. Il suo nome si perde, resta quel che ha insegnato, seminato. E’ giusto che sia così. Ricordiamo Biagi e Montanelli e per quanto? e poi?

La stessa cosa succede per chi di fumetti è vissuto. Lascia una nuvola, un baloon e se è fortunato allievi che producono allievi che producono allievi che non sanno da dove sono partiti. Oggi Bonvi avrebbe compiuto 70 anni. I giovani di oggi erano bambini quando il 10 dicembre 1995 è stato ucciso da una macchina guidata da un ubriaco. Lui che come il suo amico Hugo Pratt aveva la cirrosi dietro l’angolo.

Bonvi è le Sturmtruppen, Nick Carter, Cattivik, per i ragazzi degli anni 80 è Gulp Fumetti in tv. Sono i soldati tedeschi antinascisti, le prime strip su un quotidiano italiano. Paese Sera le pubblica nel novembre del ‘68. Primo giornale in Italia con una striscia di fumetti. L’anno dopo l’Ora di Palermo. Sinistra all’avanguardia e da un pezzo defunta.

Bonvi, ovvero Franco Bonvicini, geometra, nato a Modena, vissuto a Bologna, lo seppellirono mentre risuonava No, Je Ne Regrette Rien. Edith Piaf cantava dal mangianastri portato alla Certosa da Guido De Maria, il vate di Bonvi nel mondo dei cartoni, uomo di tv e pubblicità, che all’allievo fino al 2 giugno dedica due mostre a Carpi. Cadeva la neve, i figli di Bonvi facevano a palle di neve con gli amici, da una parte all’altra della fossa. Sofia ora è architetto, Francesco compie 22 anni. Addio a un ’68 folle, gioioso, anche intristito. Quell’anno Guccini aveva appena inciso Folk Beat n.1, primo disco, a ottobre Bonvi disegna i soldatini tedeschi e non nazisti delle Sturmtruppen.

C’erano tutti, tutti parlarono dal pulpito, da padre Michele Casali del Centro San Domenico a Francesco Guccini a Massimo Valerio Manfredi a Guido Silvestri, Silver, già giovane di studio di Bonvi che gli regalò come liquidazione l’idea di Lupo Alberto. Sembrava Alice’s Restaurant di Arthur Penn, il padre di Sean, regista di film di ribellioni diverse, da Bonny and Clyde a Il piccolo grande uomo.

Bonvi, cresciuto con Guccini, ha venduto milioni di album nel mondo ed è il racconto di un’Emilia rossa che si è persa per strada. Agli inizi degli anni Settanta ha vinto il Prix Saint-Michel a Bruxelles come migliore disegnatore europeo. Un suo amico, ultimo compagno di vita, morto poco dopo di lui, Magnus, Roberto Raviola, creatore di Satanik, Kriminal, Alan Ford, è uno dei pochi italiani al Musée de la bande dessinée a Angoulême, il più importante museo di illustrazioni al mondo. Bologna ha dimenticato nascita e morte. Niente di niente.

Un altro disegnatore meraviglioso, Vittorio Giardino, celebrato in Europa, esposto nei musei, ha casa ignota a San Lazzaro: è uno degli italiani che hanno vinto dovunque, compreso al Festival di Angoulême, Oscar o Cannes della categoria. Ad Angoulême quest’anno ha battuto tutti la graphic novel Cinquemila chilometri al secondo, ocra, rosso, giallo, sembra una Bologna da incubo, autore è Manuele Fior, cesenate, adolescenza da queste parti, vita a Parigi, pubblicazione con la bolognese Coconino. Ricordato quanto i defunti, da una terra che dovrebbe usarlo come monumento.

Speriamo che si faccia qualcosa per Andrea Pazienza, altro bolognese per scelta, che il 23 maggio avrebbe compiuto 55 anni. Non è rimpianto, non deve essere nostalgia, può essere ragionare su come si manda avanti una città, nelle piccole e grandi cose. Modena il 25 giugno celebrerà Bonvi con un Bonvi Parken in una bella, verde zona centrale, mostre sue e di giovani disegnatori, feste di piazza con Guccini e compagnia cantante.

Parlare di un fumettaro morto, vecchio, è il tentativo di parlare ai eredi fumettari vivi, giovani. Case come Alessandro, Krazy Kat e Comma22 operano da anni a livello internazionale nel campo dell´illustrazione e del fumetto. Tra le “nuvole parlanti” e Bologna esiste una trama di relazioni molto fitta.

Storia antica. L’ha aperta Apocalittici e integrati, dato alle stampe dal professore di Semiotica Umberto Eco a metà anni Sessanta, applicando a Superman, a Charlie Brown o a Steve Canyon gli strumenti di indagine in uso presso la Cultura Alta. Sono i fumetti del ’68, poi quelli del ’77, fra Radio Alice, Andrea Pazienza, proveniente dalla Puglia per studiare al DAMS, e del suo amico Filippo Scòzzari, da Rimini. Insieme, dall’appartamento che condividono in Via Clavature, sede della loro “Traumfabrik Productions”, lavoreranno alle riviste romane “Cannibale” e a “Frigidaire”, oltre che alla milanese “Alter”.

E’ la Bologna del Fumetto, famosa in Italia, in Europa, forse nel mondo. Ha proposto associazioni culturali come Hamelin, che dal 2001 organizza “bilBOlbul” progetto ad ampio raggio con lezioni di storia del fumetto, incontri con autori, presentazioni di libri, mostre. Attorno c’è un mondo giovane ricco e diffuso, basta vedere le file alle mostre in Palazzo Comunale per la Fiera degli Illustratori.

Peccato però che gli aspiranti amministratori, di qualsiasi colore, sappiano solo parlare di calcio sbagliando citazioni, di universiadi sbagliando date e sognando affari impossibili, di progetti di cenetificazione. Senza sapere nulla di una riccaBolognapovera.

2 commenti:

  1. ...mi sembra importante non perdere la memoria di quel momento/movimento che ha innalzato il fumetto italiano ai livelli più alti...d'altronde la smetterei anche di aspettarsi dagli amministratori più o meno locali una sensibilità per la cultura, nei suoi differenti aspetti...cercherei di fare "da noi"..."dal basso" come una volta!...e a culo tutto il resto!

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  2. Bellissimo e amaro articolo. Il fumetto è una delle grandi scuole italiane dimenticate e ignorate, in un paese che ha deciso di farsi rapprsentare da mediocri ignoranti.


    (PS però Athur Penn non era il padre di Sean Penn... non sono neanche parenti)

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