mercoledì 25 maggio 2011

Nostalgia dell'Osteria delle Dame

"Nel marzo del 1973 ebbi occasione di frequentare l'Osteria delle Dame in quanto ospite di un mio amico italo-americano che frequantava l'università di Bologna.Ci andammo una dozzina di volte.Lì ebbi l'onore di conoscere Francesco Guccini.Era lui di persona a servire il vino, e per un pò di volte mi diede la chitarra e mi chiese di accompagnarlo mentre cantava le canzoni di Adriano Pappalardo.Risate da morire. Era veramente uno spasso e un mito.In quell'osteria anche i muri sapevano suonare la chitarra.Peccato non esista più...Non sono più stato a Bologna da allora e penso di essermi perso molto.Bologna trentacinque anni fa era una città meravigliosa."
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martedì 24 maggio 2011

"Certo che voi di Bologna..."


Quarta di copertina del libro "Certo che voi di Bologna..." di Giorgio Comaschi

mercoledì 18 maggio 2011

Canzone per Giouanela ("Sulla strada")

Una canzone scritta da Sergio Secondiano Sacchi per Giouanela, un ambulante venditore di tovaglioli e fazzoletti di Sant'Angelo Lodigiano, cantata da Francesco nell'album dei Pambrumisti, "Quelle piccole cose" - Ala Bianca, 2008.

lunedì 16 maggio 2011

L’Osservatore Romano – 20 settembre 2009

È morto John T. Elson che nel 1966 fu autore di una clamorosa inchiesta su «Time»
Il giornalista che indagava sulla salute di Dio

di Raffaele Alessandrini (©L’Osservatore Romano – 20 settembre 2009)

L’inchiesta di John T. Elson su “Time” dell’8 aprile 1966 intitolata Dio è morto? aveva fatto grande rumore; il suo autore invece se n’è andato in punta di piedi a 78 anni lo scorso 7 settembre. E solo dieci giorni dopo “The New York Times” ha dato notizia della sua dipartita. Dopo assere stato responsabile del settore materie religiose della nota rivista fino al 1987, Elson si era ormai ritirato a vita privata. Nel 1966 però, a quattro mesi esatti dalla conclusione del concilio Vaticano II la pubblicazione di quel servizio, preannunciato da una funerea copertina nera orlata di rosso ove campeggiava l’interrogativo Is God dead? non solo avrebbe avuto un effetto dirompente sull’opinione pubblica di mezzo mondo, ma avrebbe inaugurato una stagione culturale di dibattiti e di riflessioni che in fondo non si è mai conclusa. Poiché con intensità e convinzioni diverse, fu proprio a partire da allora che perfino nel pensiero teologico – ma anche alla luce della riflessione del teologo protestante Dietrich Bonhoeffer – si cominciò a parlare con una certa ricorrente attenzione di secolarizzazione, di eclissi del sacro nella società industriale e di fine della religione.

E sul finire dello scorso millennio, nel brullo panorama filosofico dominato dal pensiero debole, dall’effimero e dalla fine delle ideologie, non era infrequente sentire rimarcare il concetto, con gli accenti più disparati. Basti solo pensare alla parodia grottesca delle nevrosi dell’individualismo contemporaneo in Woody Allen che ripete il suo celebre refrain: “Dio è morto, Marx è morto e neanch’io mi sento troppo bene”. Nonostante il concetto di “morte di Dio” non fosse propriamente una novità. A cominciare da Nietzsche o da Feuerbach – i soli peraltro, tra i pensatori moderni, ad aver compreso la follia e lo scandalo del Dio crocifisso nel mondo antico. Quella follia e quello scandalo che invece sono accolti e predicati da san Paolo.

Inoltre sul concetto stesso ci sarebbe stato fin da allora parecchio da discutere. Nel 1958 l’ebreo Elie Wiesel nel romanzo La Notte aveva affrontato con gli accenti più crudi il tema della assenza di Dio nel terribile ricordo della lenta morte per impiccagione di un ragazzo in un lager nazista. In contemplazione dell’innocente trucidato riecheggiava la domanda impotente e angosciosa dell’uomo: “Dov’è dunque Dio?”; per la quale c’era solo una risposta possibile: “E io sentivo in me una voce che rispondeva: – Dov’è? Eccolo: è appeso lì a quella forca…”. 
E già nel 1944 Henri de Lubac nel suo Le drame de l’humanisme athée aveva ricordato che senza dubbio l’uomo può organizzare la terra senza Dio – e quindi giungere perfino anche a decretarne la morte. È comunque certo che “senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l’uomo”. Infatti “l’umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano”. Come ripete la conclusione (n.78) della Caritas in veritate: “L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano”.

Questa però è cultura d’élite, si potrebbe obiettare. È vero. Nessuno in pubblico, alla metà degli anni Sessanta, si sarebbe azzardato a sollevare un interrogativo come quello lanciato da Elson su ”Time” in quell’aprile del 1966. Eppure in Italia solo un anno prima il cantautore Francesco Guccini aveva scritto una canzone intitolata per l’appunto Dio è morto, lanciata poi nel 1967 dal gruppo musicale “I Nomadi”, i cui versi sarebbero rimasti impressi nella memoria – e talvolta anche nelle motivazioni ideali – di alcune generazioni di giovani, grazie anche alla voce suggestiva e intensa del leader storico del gruppo Augusto Daolio. 
Ma in quella canzone non c’era proprio nulla di iconoclastico. Anzi era un’esaltazione di valori umani e naturaliter cristiani; tanto che, al contrario del cieco bacchettonismo dei canali nazionali ufficiali, il pezzo fu messo in onda dalla Radio Vaticana. “Perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni, e poi risorge”.

13 maggio 2011 Urbino


Consueto bagno di folla per Guccini all'Università di Urbino, dove era stato invitato dal Rettore a tenere una lezione sulla storia della canzone italiana. Questo il resoconto del suo intervento.

Guccini a Pesaro 16 maggio 2011

Oltre cinquanta scuole superiori hanno partecipato al concorso nazionale "Francesco Guccini: cantando la nostra storia", promosso dal Liceo Scientifico Musicale “G. Marconi” di Pesaro nell’ambito delle iniziative per il 150° dell’Unità nazionale. I vincitori saranno premiati oggi 16 maggio al Teatro Rossini di Pesaro (ore 21.00) da Francesco Guccini in persona, nel corso di una serata che unirà arte e solidarietà: gli organizzatori hanno voluto, infatti, abbinare questo evento ad una raccolta fondi a sostegno della ricerca scientifica contro la distrofia muscolare di Duchenne e Becker.

giovedì 5 maggio 2011

"FG in concerto" nuovo libro Giunti



Questo non è un libro semplice.http://www.blogger.com/img/blank.gif
Non è solamente la storia della carriera live di Francesco Guccini.
Non è solo una descrizione accurata di ogni singola tournée.
Questo è un libro che si è trasformato man mano che prendeva forma e il risultato finale è la storia straordinaria, sconosciuta di un cantautore che per oltre cinquant’anni ha intrattenuto il suo pubblico creando con esso un legame strettissimo.

Chi pensa che l’avventura di Guccini sul palco sia una storia pigra, dovrà ricredersi.

Soprattutto fino al 1983 (anno in cui il cantautore inaugura la formula di spettacolo che ancora oggi lo vede protagonista) le sue esibizioni si svolgono in modi e ambiti al limite dell’informalità.
Prima di approdare alla dimensione degli stadi e dei palasport, Guccini si propone in bar, osterie, circoli culturali, club privati, carceri, fabbriche occupate o dismesse, polisportive, palestre, teatri e teatrini e, specie nei primi anni della sua residenza bolognese, senza pubblicità. In qualche caso solo una locandina esposta fuori dal locale, in altri nemmeno quella, perché l’esibizione viene improvvisata al momento. Fin verso i quarant’anni Guccini si è esibito con modalità artigianali, vicine alla tradizione del cantastorie più che del cantautore, affrontando i sentieri delle osterie, del cabaret, dell’affabulazione fulminante, per intraprendere solo dopo la strada dei grandi spazi live, affiancato da un gruppo di musicisti capace di suonare e arrangiare le canzoni con lui.

Dopo l’autobiografia pubblicata sempre per la collana Bizarre nel 2007 Portavo allora un eskimo innocente, Giunti Editore vuole rendere un altro omaggio a Francesco Guccini avvalendosi del lavoro di due straordinari ricercatori e collezionisti e di un impressionante numero di materiali inediti. Dal profondo degli archivi sono saltati fuori manifesti, memorabilia, locandine, ritagli di giornale, e si sono aggiunti alle testimonianze, raccolte appositamente per questo volume, dei tanti musicisti che hanno accompagnato il cantautore nel tempo: dagli amici della giovinezza modenese al leggendario “braccio destro” Juan Flaco Biondini, da Deborah Kooperman, la “maestra d’America” di Francesco, a Ellade Bandini, storico batterista in centinaia di occasioni.
Approfondimenti sono dedicati alla parentesi di cabaret con il gruppo degli Archibusti, agli inizi della carriera di un giovane non ancora ventenne membro del gruppo musicale Hurricanes, alle performance al Club Tenco e ai duetti con Vecchioni, la Nannini, Ligabue, ma anche all’attività in studio e alla sua vita quotidiana. Impagabili soprattutto i capitoli dedicati agli anni di leggendarie notti alla Osteria delle Dame e di album come “Radici”, come “Via Paolo Fabbri 43”, nel paesaggio diventato col tempo mitologico della prima canzone d’autore nel nostro Paese.


Claudio Sassi, novarese, collezionista e studioso di musica. Per Giunti ha scritto con Franco Zanetti Fabrizio De André in concerto e ha collaborato per la parte discografica a Pooh. La grande storia, 1966-2006 e Gaber. La vita, le canzoni, il teatro, di Sandro Neri, nonché a Portavo allora un eskimo innocente di Massimo Cotto.


Odoardo Semellini esperto di musica e fumetti. Ha curato le mostre “Beat!", “Francesco Guccini. Stagioni di vita quotidiana" e “Fabrizio De André. Così splendido e vero", in collaborazione con Roberto Festi.
È autore, con Brunetto Salvarani, dei libri Di questa cosa che chiami vita e Terra in bocca (ed. Il Margine) e Il vangelo secondo Leonard Cohen (ed. Claudiana)