venerdì 7 dicembre 2012

Guccini da Fazio e Mollica

Sabato 8 dicembre alle 13 Vincenzo Mollica intervista e chatta con Francesco che lunedi 10 torna anche a "Che tempo che fa". Sotto l'intervista di Mollica, a Pavana, del 2011


martedì 4 dicembre 2012

Un nuovo racconto per Natale

Titolo: Giallo panettone
Autore:
Marcello Simoni, Francesco Guccini, Loriano Macchiavelli, Valeria Corciolani, Alfredo Colitto, Sandro Toni, Gianfranco Nerozzi, Angela Capobianchi
Editore: Mondadori
Pagine: 264
Anno di pubblicazione: 2012
Prezzo copertina: 18,00 €

 
Nove storie gialle. Nove storie che ruotano attorno a un alimento, un ingrediente, una ricetta segreta.
Gli autori dei racconti raccolti in questo volume ci conducono attraverso tutte le emozioni legate al cibo, all'arte di prepararlo, alla gioia di condividerlo, e al tempo stesso affondano con maestria la lama della narrazione in quella piccola crepa, in quello slittamento sinistro che spesso si accompagna al piacere dei sensi.

Dagli Appennini dove si macella il maiale in brumose giornate invernali fino al lontano Sudamerica dove le piantagioni di caffè nascondono un segreto, da una lucente cipolla di Tropea a un calice di vino fruttato, ogni momento di questo banchetto letterario riserva ai commensali una sorpresa inquietante.
In tutti e nove questi racconti la tensione si condensa in un momento dell'anno molto speciale: il Natale, che con il suo carico di attese, desideri, sentimenti forti finisce spesso per spingere anche le persone più insospettabili a uscire dai binari della normalità.

Intervista di Radio Popolare

http://pod.radiopopolare.it/jalla_2_03_12_2012.mp3

giovedì 15 novembre 2012

Anteprima di "Notti"

Notti che durano non so quante ore
cascate impetuose o gocce in un mare
notti che bruciano su una ferita
notti boccate di vita.

venerdì 9 novembre 2012

"L'ultima Thule" anticipazione









Quando è stata quell'ultima volta
che ti han preso quei sandali nuovi
al mercato coi calzoni corti
e speranza d'estate alla porta
ed un sogno che più non ritrovi
e quei sandali duravan tre mesi
poi distrutti in rincorse e cammino.
Quando è stata quell'ultima volta
che han calzato il tuo piede bambino
lungo i valichi dell'Appennino.
Quando è stata quell'ultima volta
che ti ho vista e poi forse baciata
dimmi adesso ragazza d'allora
quando e dove te ne sei andata
perchè e quando ti ho dimenticata.
Ti sembrava durasse per sempre
quell'amore assoluto e violento
quando è stato che finito il niente
perchè è stato che tutto si è spento
non ha visto nemmeno settembre.
Quando è stata quell'ultima volta
che hai sentito tua madre cantare
quando in casa leggendo il giornale
hai veduto tuo padre fumare
mentre tu ritornavi a studiare
in quei giorni ormai troppo lontani
era tutto presente e il futuro
un qualcosa lasciato al domani
un'attesa di sogno e di oscuro
un qualcosa di incerto e insicuro.
Sarà quando quell'ultima volta
che la vedi e la senti parlare
quando il giorno dell'ultima volta
che vedrai il sole nell'albeggiare
e la pioggia ed il vento soffiare
ed il ritmo del tuo respirare
che pian piano si ferma e scompare.

giovedì 11 ottobre 2012

Pieraccioni a Pàvana

 Leonardo Pieraccioni sale a Pàvana per ascoltare 4 nuove canzoni del disco in corso di incisione.

giovedì 27 settembre 2012

27 settembre Guccini incide l'album

Flaco Biondini, l'inseparabile chitarrista di Francesco annuncia: "
"per i gucciniani: oggi 27 settembre incomincia ufficialmente la registrazione del nuovo CD di Francesco. Dopo soltanto 7 anni...".

Ecco le prime foto dalla sala di registrazione approntata a Pàvana:


martedì 18 settembre 2012

Pavanare a costo zero

Fin dal 1945, anno del nefasto  ritorno a Modena, Guccini non perde occasione per parlare della sua amata Pàvana, ed invitare gli amici nell'ameno paesino degli avi paterni.
Fu tra i musicisti del Club Tenco che nacque la consuetudine di chiamare "pavanate" le gite a casa di Francesco, percorrendo la tortuosa statale n.64 Modena-Pistoia per andarlo a trovare.
Molti fan sciagurati continuano a farlo, anche in mancanza di un invito esplicito, ma in questi tempi di ristrettezze economiche si può limitarsi a farlo "virtualmente" grazie a questa comoda funzione di
  Google Maps

giovedì 13 settembre 2012

il Guccini di notte di Giovanni Bogani


Giovanni Bogani, scrittore e giornalista fiorentino, la sera dell’undici settembre 2012 si precipita, come tanti altri fan, al Festival del PD alle Cascine di Firenze per farsi autografare la sua copia del “Dizionario delle cose perdute” ma Sergio Staino, inaspettatamente, lo invita sul palco a fare qualche domanda a Francesco.
Queste le sue impressioni, pubblicate poche ore dopo con un ispirato post notturno su FB:

         “Ho settantadue anni, che cosa posso sperare dal futuro?”. Lo dice mentre tutti vengono da lui, ogni due minuti, per farsi firmare un libro. Lo dice un minuto dopo che, passando, la gente gli ha fatto “forza Guccini!”, come si dice a un ciclista. Lo dice dopo che ha raccontato per ore il suo passato, sul palco. Facendo ridere, senza perdere per un attimo il fascino, la presa sul  pubblico. Che l’avrebbe ascoltato anche se lui avesse parlato di cuscinetti a sfera, o di spille da balia.
         E del resto, ha raccontato del Flit, l’insetticida degli anni ’50, Fly Toxic. Ha raccontato dei film che vedeva quando era ragazzo, dei giornalini che leggeva – Paperino, ma in una versione strana che non ho capito – e delle cingomme che lui inghiottiva, non sapendo che si masticavano e non erano esattamente uguali alle caramelle. Ha parlato dell’amore, di come si imbarcava, sorvolando un po’. Ha fatto l’albero genealogico di tutti i musicisti con cui ha suonato, all’inizio. E io mi ci sono perso. E credo anche il pubblico.
         Poi a tavola, mentre tutti lo festeggiano, mentre la tipa col camice bianco lo tratta come un fratello, come un parente, e tutti hanno questa confidenza selvaggia, paesana, che non avrebbero con altri, lui sembra perso in una sua nebbia. Sarà per gli occhiali da presbite che ha, anche un po’ fuori moda come montatura. Non riesce a leggere la scritta sulla maglietta di Sergio Staino, e se la fa raccontare da lui.
         Sarà perché ha l’aria che tutto quello che viene fatto in suo onore non lo interessi più. Racconta di un suo musicista, che aveva la cistifellea in peritonite. Lo hanno portato in sala per operarlo, e gli hanno scoperto un tumore a un rene. Una roba di sette centimetri. Lo hanno tolto, e ora sta meglio. Non aveva fatto metastasi, e non aveva dato nessun sintomo. Un tumore asintomatico. Se non aveva l’altro malanno, sarebbe morto senza accorgersene. “A volte quanto conta il culo”, dice. Si capisce che i mali lo interessano di più di tutto il resto.
         “Ogni mattina ti svegli con un nuovo malanno, ma non è mai quello giusto”, scherza in modenese. Si è sposato da non molto, con una donna giovane, che qualche anno fa era una ragazza. Ha una figlia, grande quanto la moglie. Ha deciso di vivere nel suo Appennino, un Appennino dimenticato. Un giorno voglio tornare a trovarlo. Prima che sia troppo tardi.
         Non perché penso che stia per morire. Ma perché è tutto perso in un suo lago di pensieri, o non pensieri. Non ascolta più. Gli chiedo che musica gli piaccia ascoltare. “Non ascolto più: solo quello che sente Raffaella. Ma spesso le dico di spegnere”, mi risponde. Non ha più curiosità per i nuovi cantautori, per chi potrebbe dargli suggestioni, spunti, fiamme per accendere nuovi fuochi. Niente.
         E che cosa legge? “Leggevo più prima”. Ma che cosa si fa a Pavana, d’inverno? “Si guarda la neve, si impreca contro la neve. Si legge, si mangia, si sta sotto le coperte”, e mi dice qualche altra cosa che non ricordo. Non c’è nemmeno più il club 77, o come cazzo si chiamava.
         Dice che non è più comunista. Anzi, che non lo è mai stato. Anarchico, sì. Comunista, no. Però amava Che Guevara. Dovevo portargli il mio libretto. Pazienza. Non lo avrebbe letto mai. E non leggerà neanche la pagina che lo riguarda, su “Amore a ore”. Uno che è diventato personaggio di fumetto, argomento di tesi di laurea, che vuoi che gliene freghi della pagina di un libro.
         Gli racconto di quando a casa sua ho incontrato Bonvi. E si illumina, e si rattrista insieme. Pensa che è morto. Pensa molto ai morti.
         Suo padre, Van Loon. Gli chiedo di suo padre, anche se so già tutto. So di quei libri in cui c’era una divulgazione alla Piero Angela, e so di suo padre che non era colto ma era curioso. Però dice una cosa che non mi aspetto: “Nei concerti non riesco più a cantarla. A metà mi fermo”, e si capisce che è per la commozione. Amava suo padre. Quell’uomo tornato da Auschwitz, o da Buchenwald, a piedi. Come hanno fatto in tanti, dopo la liberazione dai tedeschi. Nemmeno un biglietto di treno. O forse i treni non circolavano più. Come si tornava dalla Germania all’Italia? Quanto è impossibile fare un percorso così, dopo che si è stati in un campo di concentramento?
         Racconta di quando non aveva un impianto hi-fi. Dice che il suo primo stereo lo ha comprato nel 1972. Dopo i primi tre dischi! Cioè: produceva dischi. Ma non poteva sentirli. E già era diventato un mito per tanti, già erano passate le canzoni straordinarie, da “Auschwitz” a “Dio è morto” a “L’isola non trovata”, a “L’orizzonte di K.D.”, fino ad arrivare a “Radici”, a “La locomotiva”, e “Incontro”. Aveva già raccontato la vita, aveva già raccontato l’insorgere del passato come se fosse uno che di vita ne aveva percorsa tantissima. E aveva solo poco più di trent’anni. E non aveva uno stereo.
         I ricordi passano, sul palco, dall’uno all’altro. Io sto solo attento a non sciuparli, a non dire nulla che possa fermare il flusso del suo peregrinare nella nostalgia. Vorrei chiedergli perché ha fatto un libro così. Che gioia gli dà, sentire di nuovo gli odori di quelle cose. Vederne le forme, sia pure solo per un libro. Che gioia gli dà ritrovare il ricordo del Flit, della banana con cui venivano pettinati i bambini, il ricordo dei cibi che mangiavano da ragazzi, del maiale inseguito sulla neve, con il suo sangue che sgorgava e le sue grida impazzite?
         Il fatto è che si vuole sempre rivedere quel film. Il film della nostra infanzia. Il film di quando eravamo ragazzi. E’ un film bellissimo, quello.
         E infatti, anche io voglio vederlo. E per me, le cose antiche e belle da ricordare sono lì, su quel palco.
         Staino. Io me lo ricordo. Me li ricordo gli anni ’80, i miei anni ’80. Il freddo assoluto, a Torino. E come andavo per le bancarelle, a cercare i numeri di Linus che ho ancora in casa. E nelle prime pagine, c’era la storia di Bobo. Io quella volevo leggere. Perché? Perché mi commuovevo, perché ridevo, perché  mi sentivo compreso da quelle strisce. Perché ritrovavo un mondo che non conoscevo del tutto, quello dei comunisti, insieme al mondo che conoscevo, l’amore difficile, gli intellettuali, gli occhiali, la barba che avevo all’epoca. E trovavo la realtà, tutto il mondo che avevo intorno. Lì, nelle tavole pubblicate su Linus. Poi c’era tutto il resto. Chi scriveva, e le altre storie a fumetti. Ma io aspettavo un mese soprattutto per quello, per Bobo.
         E poi l’ho conosciuto, Sergio. L’ho visto camminare lento come un patriarca, perché non ci vede più niente, con il bastone da Mosè, tutto nodoso, dritto e grosso e abbronzato come il calabrese che è ancora, nonostante sia toscano. Ho sentito i suoi scoppi  d’ira ancora da ragazzo, e ho ammirato i suoi capelli bianchi. Ho visto crescere Ilaria, che da tempo  non è più come nei fumetti. È una donna, anzi è quasi più grande di me, adesso che ha un uomo, e un figlio, dopo avere avuto una compagna. La ricordo quando, tredicenne, esprimeva opinioni categoriche, radical chic, in quella casa così bella in campagna, che lei non aveva meritato col suo lavoro, quella casa bellissima piena di libri, di musica, di disegni. Quella casa dove credevo di essere arrivato in Paradiso.
        E Guccini.
        Guccini. La prima volta, fu nel 1972. Il mio amico Claudio che urlava in via Lambruschini “La bomba proletaria illuminava l’aria”. Aveva nove anni e non sapeva che cosa volesse dire. Però l’aveva catturata nell’aria, quella frase. Bomba proletà / lluminava là.. la sentivo così, io. Bombaproletà lluminavalà. E non capivo che cosa volesse dire. La cantava nel vuoto di una strada che percorro ancora, che fa parte del mio quartiere, quel quartiere che è quasi un paese.
         1972. Una ragazza più grande che ha una cassetta di “Radici”. Mostrata come si mostra della droga, o una molotov. Una cosa segreta. Radici. Una cassettina che mi sembrava celeste. Quella ragazza aveva i capelli neri, era la sorella grande di qualcuno. Conosceva la vita, lei. Forse aveva persino quindici anni.
         Nel 1976. Il negozio di dischi Alberti, in via de’ Pecori. Pieno, stracolmo di copertine di Via Paolo Fabbri 43. Il volto di Guccini, sgranato, nella foto che poi ho saputo era stata presa in Grecia. E che sarà la foto di tutti, tutti i suoi concerti, per trent’anni a venire. L’unica foto dei manifesti. Io avevo tredici anni, e Guccini era diventato famosissimo. E quindi, per questo, mi stava quasi antipatico, anche se non lo conoscevo.
         Poi il momento in cui cambiò tutto.
         Il 1977, al mare. Avevo quattordici anni. E la vita era un mistero feroce. Le ragazze un mistero feroce. L’amore, un mistero feroce.
         Qui, intanto, dai piani inferiori sale un meraviglioso odore di caffè. E’ l’alba. Il giorno nuovo arriva, tutto proiettato verso l’inverno. L’estate è finita. E forse è finita anche la prima parte della mia vita. O forse tutta, chi lo può sapere. Magari è finita tutta, e non c’è niente di là, non c’è niente dopo l’ultimo malanno, quello “giusto”, come aveva bofonchiato Guccini poche ore fa. Forse non c’è niente. E allora, è giusto rincorrere i ricordi, come fa  Guccini, rincorrere gli oggetti, le Nazionali senza filtro,  il “prete” da mettere sotto il letto, tutti gli altri oggetti, il Flit, il cinema, il maiale che muore, con il suo naso a presa di corrente, e le parole, le parole da cercare, da inseguire, da coltivare, da carezzare, da scrivere bene. La parietaria attaccata ai muri, che il tuo produttore non voleva mettessi dentro le parole di una canzone, la parietaria che non si capisce. E invece deve essere quella la parola, e non l’erba, non qualcosa d’altro, la parietaria. La precisione è importante.
         Con la precisione delle tue parole, semplici, oneste, mai fatue, mai inutilmente “poetiche”, mi avevi conquistato.
         Era il 1977. Il mare era una battaglia, per conquistare lo sguardo di una ragazza. C’erano due che giocavano a pallone da dio, Antonello Bonomo e un certo Mancuso. Bonomo aveva la pelle scura, giocava nelle giovanili della Roma, sembrava un dio quando scartava tutti, era orgoglioso come Cristiano Ronaldo, era cattivo come lui. Era un negro italiano, come Balotelli. E nessuno poteva strappargli la palla. Come facevi a competere con questi semidei? E Mancuso oltre a giocare a pallone suonava la chitarra. Bene, accidenti a lui.
        Un giorno suonano la Locomotiva, e vedo che gli accordi sembrano facili. Non avevo mai suonato niente. Ma trovai il coraggio di chiedergli di insegnarmeli, quegli accordi. Do Sol7 Do Sol7 Do.
        Non so che viso avessi, e neppure come la suonavo. Con che voce cantassi, che faccia avesse chi ascoltava. Però successe che un giorno la stavo suonando. E che avevo imparato tutte le parole.
        Ma ricordo che c’era un altro ragazzo, di cui non ricordo il  nome. Lui le sapeva tutte, le parole di Guccini. E per ogni discorso, aveva una citazione da Guccini. Tutto il suo mondo era Guccini. Ogni cosa che accadeva nelle giornate, per lui era una postilla a qualcosa che aveva già detto Guccini. Guccini erano i suoi King, la sua Bibbia. Non era un cantante, era un mondo per lui. Era un ragazzo bello, non giocava a pallone ma aveva molte donne. Aveva i capelli lunghi, l’aria selvaggia. Chissà come si chiamava.
         E ogni cosa che accadeva, era un frammento già raccontato in una canzone. Ogni pensiero che avevo, ogni discorso che mi veniva in mente, Guccini l’aveva già detta, con parole cristalline, perfette.
         E allora comprai quel libro. Editore Lato Side. Tutte le canzoni di Guccini. Cominciai a leggerle. Io non le ho ascoltate. Le ho lette, prima. E leggendole mi commuovevo. Leggendo Piccola storia ignobile, la storia di un aborto. O leggendo Amerigo, la storia di un’emigrazione faticosa, lunga, finita con un ritorno senza gloria e senza denaro. Leggevo, e mi immaginavo delle musiche. Poi le ho sentite, le musiche. A volte erano belle, a volte meno. O almeno, non come avevo immaginato. Però quel mondo era diventato il mio mondo. Anche per me la vita la raccontava Guccini. Il pensionato di via Paolo Fabbri 41, o 45 – la porta accanto, insomma – per me esisteva più di un personaggio di Manzoni. E l’anarchico che gettò la locomotiva a schiantarsi su un binario morto, ma anche Lui e Lei della prima canzone che ho letto,  e la bambina portoghese, e la strada della Pennsylvania station, e le cinque anatre, e le ragazze che se ne vanno, e tutte le parole che inventavi, che mi raccontavi. E la ragazza olandese con cui andavi lungo l’Amstel, in una canzone quasi dimenticata, che mi sembrava bellissima. Suo nonno era un grand’uomo, famoso chissà cosa. Da loro si usa dire “è ancora in gamba”: e ti espose, a gesti e a sputi, quella Weltanschauung sua stramba. Come cazzo ti è venuto in mente di fare un verso con la parola “Weltanschauung”?
         Poi tutto è andato così in fretta. L’anno dopo, a scuola, al liceo, ero io che suonavo la chitarra nell’intervallo e tutte le ragazze che volevano sentire “Il vecchio e il bambino”, e “Incontro”. E mi sembrava già di averle fatte mille volte, che non avessero più niente da dire. Il vecchio e il bambino. Che le ragazze pensavano fosse così poetica, il vecchio che tiene per mano il bambino. Sì, ma intorno il mondo muore, il mondo è in fiamme. È una canzone di fantascienza.
        Tutto è andato così in fretta. Imparare la Locomotiva, e l’Avvelenata, e Via Paolo Fabbri 43, e quel giorno del 1980, sempre a Viareggio, andare in bicicletta di corsa al tuo concerto.
         Così di corsa che attraversando la ferrovia cado, con la bicicletta, incastrata fra le rotaie. E il registratore che avevo nel cestino si spacca. E io rimango lì, per terra, stupefatto. Che vedo i fanali delle auto che stanno venendo verso di me. non ci vuole mica tanto a finire male. Prima che i fari mi prendano in pieno, mi rialzo, riparto, non ricordo se avevo le ginocchia sbucciate. Ma al concerto ci vado, lavoravo tutto quel mese per quello. Stadio dei Pini, Francesco Guccini. Iniziasti con “In morte di S.F.”, e io me ne stupii, senza sapere che iniziavi sempre con quella.
         Comprai il tuo disco con i Nomadi, bello che era. Eravate forti, e ironici. E mi piaceva come Augusto cantava le tue canzoni. Augusto, un altro che se ne è andato. Lo incontrai sul retro di un furgoncino, alla fine di un concerto in piazza Santa Croce a Firenze. Stravolto di stanchezza, come sempre. Faceva i bis fino a quando non ne aveva più, e neppure il pubblico. I Nomadi suonavano semplice, ma massiccio. Un quattro quarti che non si fermava mai, come Ligabue, che del resto era di lì, pochi chilometri di distanza fra Novellara e Correggio. Nove, per l’esattezza. Tutti e due, Liga e i Nomadi, cresciuti nella religione del non perdere il tempo, nella sottomissione cieca e fedele al ritmo instancabile delle battute, proletari, fanteria della canzone, a seguire la marcia inesorabile dei piedi che vanno avanti l’uno dopo l’altro, senza svolazzi possibili, per chilometri e fino all’infinito, sempre con passo regolare, fino a ritornare da Auschwitz come tuo padre.
        Augusto Daolio che aveva la voce come uno straniero, bellissima.
         E poi la volta che presi il treno e cercai Pavana. Chi me lo disse che si scendeva a Ponte della Venturina? Non lo so. So che lo presi, il treno. Pistoia. Poi a Pistoia per Bologna, via Porrettana. Gallerie. Roccia. Alberi. Castagni. E la stazioncina. E da lì? A piedi. Salire. Tre chilometri. Non lo farei, adesso. Con i camion che mi ruggivano sui piedi. Fino ad arrivare al bar, l’unica cosa viva lungo la strada. Chiedere, disperati, dove sia la casa del Maestro. E’  ovvio che la sapessero, ma io a vent’anni non ne ero sicuro.
        Suonare. Finire a casa sua, con la televisione accesa, un pomeriggio di domenica. La scoperta incredibile che anche un genio come lui guarda la stessa televisione che guardo io. Mi sembrava impossibile. Pensavo che dovesse avere di più, un canale divino, soprannaturale, per capire le cose che io non capivo.
         La cucina piena di ombra.
        Il pane, olio e sale che stava mangiando.
         Anche quello, pensai che avesse proprietà miracolose.
        E invece, di miracoli non ne sono accaduti neanche per voi. Ti guardo le braccia. Hai delle croste lungo il braccio destro, come se tu ti fossi grattato a sangue, Francesco.  Non sei  più grasso  come un paio di anni fa, ma sembri non avere più le forze. Non canti più non perché ti faccia schifo, ma perché non te la senti, fisicamente. Non hai fame, non mangi quasi niente, alla festa del Pd, dove ti offrirebbero di tutto. Non vuoi i crostini di antipasto, la pasta al sugo di maiale non la vuoi, il secondo niente, la schiacciata alla fiorentina “come se la avessi presa”. Ti dà noia solo che ci sia l’acqua calda, e hai ragione. Come possono essere così sciatti? Va bene che siamo tutti compagni, ma proprio per questo ci vuole rispetto. Non si può far finta che vada tutto bene perché siamo compagni.
        Sergio dice “io ho ancora speranza, per le giovani generazioni, non per me”. E tu rispondi “sì, ma per me non ne ho”. E si capisce che pensi di non poter vivere tanto a lungo, e che la cosa ti fa girare tremendamente i coglioni.
         Spero che ci sia un aldilà dove riceverai il premio per tutte quelle vite che hai reso più piene, più ricche, per tutti quelli che – come me – hai reso capaci di sentire cose a cui non sapevano dare un nome. Spero che ci sia un aldilà dove potrai ritrovare tutte le cose del tuo mondo di un tempo, i giochi che facevi da bambino, il Meccano e le bilie, e le vecchie suore nere, le carte e vento che volan via nella stazione di Modena, e tutte le luci intraviste da un treno. Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa, e il cuore di simboli pieno.
        Quale sia e che senso abbia la direzione in cui corriamo, nessuno lo sa. È vero. Lo avevi capito a trent’anni, ne sono passati altri quaranta, nessuno ha scoperto altro, nessuno ha risolto il problema. E’  la prima volta che leggo in te la paura, non quella di invecchiare, ma quella di morire. E capisco che tutto quello che hai fatto, nella vita, è stringere gli attimi, e i ricordi. E adesso tutto si fa un po’ più confuso, sei un po’ sordo e ci vedi poco, hai meno forza, cantavi “Ho ancora la forza” solo qualche anno fa, e adesso quella forza non ce l’hai.
        Però, se c’è uno che ha dato, a migliaia, forse a milioni di persone, che ha dato a loro – e a me, fra loro – il colore di certi sentimenti, la forma di certi pensieri, quello sei tu. Non erano soltanto canzoni, e non era certamente soltanto politica. Era – è – un sentimento del vivere, sospeso tra orgoglio, nostalgia, tenerezza per gli attimi, amore, desiderio di dare un nome alle cose. E’ il mondo in cui sono vissuto. Nessuna canzone, né Gianni Morandi, né Peppino Gagliardi, né Nicola di Bari, né Albano, e neanche certo Nek, o Grignani, o Tiziano Ferro, hanno mai saputo fare questo.
        Così, arriviamo a oggi. Io che per caso sono su questo palco, con te. E guardo la gente davanti, non so che cosa pensa. So che sono quasi invisibile, ugualmente. E so che, in questo momento, in questo momento che non immaginavo, io che non pensavo neanche di riuscire mai più a parlarti, in questo momento – dicevo – io sono quasi felice.

15 settembre a Carpi



mercoledì 1 agosto 2012

5 agosto a Monteacuto

Monteacuto delle Alpi frazione di Lizzano in Belvedere (Bologna), ospiterà Guccini domenica 5 agosto nella suggestiva Piazza della Chiesa: si inizia alle 17:45, con un'intervista di Bice Biagi al Maestrone su "Dizionario delle cose perdute" e si prosegue alle 18:30 con "Volgare e Matrona - Bologna raccontata nelle canzoni e nelle immagini. Un dialogo tra il cantautore e scrittore Francesco Guccini ed i fratelli Avati".

mercoledì 27 giugno 2012

Guccini a Positano il 30 giugno 2012

La rassegna letteraria Positano 2012 Mare, Sole e Cultura, quest’anno dedicata al tema «Vent’anni dopo! La forza delle parole», celebra il ventennale con una voce tra le più originali della scena letteraria italiana contemporanea. A tagliare il nastro della XX edizione, sabato 30 giugno, alle ore 21,30, a Positano nel patio di Palazzo Murat, il cantautore Francesco Guccini, autore del “Dizionario delle cose perdute” edito da Mondadori. Con un poco di nostalgia, ma soprattutto con la poesia e l'ironia della sua prosa, Francesco Guccini, al fianco dell’editor Giulia Ichino, poserà il suo sguardo sornione su oggetti, situazioni, emozioni di un passato che è di ciascuno di noi, ma che rischia di andare perduto, sepolto nella soffitta del tempo insieme al telefono di bachelite e alla pompetta del Flit. Alla serata interverrà Riccardo Cavallero, Direttore Generale Libri Trade del Gruppo Mondadori.

venerdì 22 giugno 2012

Caterina Caselli canterà con Guccini

«Carletti mi ha invitata dicendomi che gli sarebbe bastata la mia presenza. Gli ho detto 'vengo e canto' e nel momento stesso ho pensato 'ma che ho detto?'. È stata una scelta dettata dal cuore». Forse perché in quelle zone distrutte dal sisma Caterina Caselli è cresciuta: «I primi passi della mia vita li ho mossi lì. Anche quelli canori: da dilettante ho suonato in tutti quei paesini». «NON SARÒ SOLA, AVRÒ GUCCINI». La sua famiglia di origine vive ancora a Modena, dopo tutto e poi, ha aggiunto parlando della paura di ritornare davanti ai fan, «non sarò da sola, salirò sul palco con il mio vecchio amico Francesco Guccini e in caso di necessità so che il suo sguardo mi sarà utile». Caselli e Guccini hanno deciso di cantare una canzone che li accomuna: «L'ho chiamato e gli ho proposto Per fare un uomo, una sua canzone che ho cantato anche io negli Anni 60» ha spiegato la cantante.

martedì 19 giugno 2012

L'hanno fatto "cantare"

(ANSA) - BOLOGNA, 18 GIU - Francesco Guccini non esclude la possibilita' di fare un nuovo disco entro fine anno o al massimo all'inizio del prossimo. L'annuncio del cantautore, il cui ultimo disco risale al 2004, e' contenuto in un'intervista nel numero di giugno di Poliziamoderna, il mensile della polizia. ''Ho gia' qualche canzone nel cassetto - dice Guccini - qualche altra la sto scrivendo e puo' darsi che in autunno, o nei primi mesi del prossimo anno, prenda la decisione di fare il disco''.

Dalla "banana" alla prima comunione

Foto un po' sgranate ma decisamente "storiche"

venerdì 15 giugno 2012

DoreciakGulp sabato 17 ore 13.30 su RAI1

Guccini e Carletti ospiti di DoreciakGulp per parlare del concerto per i terremotati dell'Emilia del 25 giugno a Bologna.

giovedì 14 giugno 2012

a gonfie vele

Mentre Vasco rancoroso silura il suo storico chitarrista a Pàvana si organizza il concerto per l'Emilia.

14 giugno 2012 Auguri Francesco!

giovedì 7 giugno 2012

Boom del Dizionario delle cose perdute

Giulia Ichino, editor della narrativa italiana Mondadori, in questo primo semestre del 2012 l'editoria libraria ha dovuto fare i conti con la crisi economica generale e con il calo del mercato dei libri. In casa Mondadori ci sono state delle "sorprese" positive, nel suo settore di competenza? "Senza dubbio la novità più sorprendente è stata quella delle 'Libellule', la nostra collana nata all’inizio dell’anno: solo per dare un’idea, il libro di Francesco Guccini uscito in febbraio a oggi ha più che raddoppiato le vendite di ogni precedente titolo dell’autore ed è in assoluto il secondo titolo più venduto dell’anno 2012".

sabato 2 giugno 2012

25 giugno a Bologna Emilia Live

Mega concerto degli artisti emiliani in favore delle popolazioni colpite dal terremoto. È questa la grande risposta dei cantanti e musicisti della regione. Si chiamerà «Emilia: live». Il 25 giugno, un lunedì, si aspettano almeno 40 mila persone allo stadio Dall’Ara, l’unico che potrebbe ospitare un pubblico così numeroso. Il biglietto dovrebbe costare 30-35 euro, per un incasso previsto tra 800 mila euro e 1 milione. L’evento musicale si annuncia simile a quello che nel 2009 fu organizzato dopo il terremoto che colpì L’Aquila e l’Abruzzo. L’iniziativa è stata promossa dai Nomadi che adesso stanno mobilitando i colleghi da coinvolgere, da Vasco Rossi a Luciano Ligabue. Potrebbero esserci Laura Pausini, Gianni Morandi, i Modena City Ramblers, Nek, i Rio (la band del fratello del Liga, Marco). Tutti artisti emiliani e romagnoli, alcuni provenienti addirittura dalle stesse aree colpite dai due terremoti. Ci sarà anche Francesco Guccini.

martedì 15 maggio 2012

lunedì 14 maggio 2012

Guccini da Fazio e Saviano

Martedi 15 alle 21.10 su LA7 Guccini partecipa a "Quello che non ho" il nuovo programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano. Un viaggio nel mondo delle parole. Quello che (non) ho - titolo che è un dichiarato omaggio a Fabrizio De Andrè - è un programma costruito sul valore evocativo della parola . In diretta su La7 in prima serata il 14, 15 e 16 maggio. Ciascuno degli ospiti porterà in studio la sua parola 'cara', raccontando una storia, leggendo un brano o cantando una canzone.

sabato 5 maggio 2012

21 maggio 2012 Guccini laureato HC a Roma

Roma, 4 mag. (Adnkronos) - The American University of Rome consegnera' una Laurea ad honorem a Francesco Guccini, lunedi' 21 maggio, nel corso della consueta cerimonia delle Lauree per l'anno 2012. Il cantautore Italiano sara' insignito per, si legge in una nota, "aver saputo raccontare a piu' generazioni, con poesia, ironia e rabbia le piccole e le grandi storie dei nostri tempi. E per aver contribuito con le sue bellissime canzoni a portare in Italia una certa idea di America, scoperta prima attraverso i racconti del nonno emigrante, Amerigo, e piu' tardi con i libri e la musica della beat generation". La cerimonia di consegna delle Lauree dell'American University of Rome e della Laurea ad honorem a Francesco Guccini avverra' alle ore 17.30 a Villa Aurelia, in Via di Porta San Pancrazio 1. Da oltre 40 anni The American University of Rome (Aur), che ha la sua unica sede a Roma, sul colle Gianicolo, prepara studenti di ogni provenienza a vivere e lavorare in qualsiasi parte del mondo.

domenica 29 aprile 2012

Cose perdute: la "banana"

Anno 1954, nella dimora modenese il quattordicenne Francesco, forse un po' geloso del fratellino Piero, in collo a mamma Ester,prende appunti per un celebre capitolo del suo libro.

martedì 3 aprile 2012

Intervista a Tutto Libri

Guccini racconta di quando Nonna Amabilia udì per la prima volta squillare il telefono.

Canarino va'


Il primo nome, con il primo nucleo dell’Equipe si chiama "Blue cups" e comprende solo Adolfo Sogliani "Victor". Arrivano poi Maurizio Vandelli, Franco Ceccarelli e Alfio Cantarella. Vengono aiutati da Pier Farri ( produrrà piu’ tardi Francesco Guccini), ed incidono il primo disco con il nome EQUIPE 84: Canarino va", inno alla squadra di calcio modenese (che milita nella serie A., siamo nel 1963). Va detto che esistono due versioni per il nome, la prima li vede legati al famoso Brandy Stock 84, con il quale speravano di essere sponsorizzati, l’altra, la somma dell’età dei componenti del gruppo, la piu’ attendibile sarebbe quest’ultima, a detta di Maurizio Vandelli. Sul labo B viene scelta "Liberi d’amare", brano in cui si denotano già una certa classe e capacità del gruppo.
da http://www.sezionemusica.it/

lunedì 2 aprile 2012

Sulla bacheca AUDACE l'Unità

Dopo l'ondata di proteste per l'espulsione de "l'Unità" dalle bacheche della Magneti Marelli di Bologna, ora la contestazione prosegue in musica. O meglio, con un "concerto per musica e parole in risposta all'odioso atto della Magneti Marelli": questo il titolo dell'iniziativa, in programma lunedì 2 aprile al Teatro Duse alle 20.30 con ingresso libero fino ad esaurimento posti.
Il tam tam è già partito su Facebook con i dettagli della serata, a cui sono annunciati Roberto Vecchioni, Moni Ovadia, Simone Cristicchi, Modena City Ramblers, Leo Brizzi, Maria Grazia Campus, Bandabardò, Alessandro Benvenuti, Gualtiero Bertelli, Alessio Lega, Tete de bois. E con loro ci saranno il leader del Pd, Pierluigi Bersani, il direttore del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, Claudio Sardo, e Sergio Staino, a cui si deve l'idea dell'iniziativa (assieme a Gianni Cuperlo).
E proprio Staino firma il manifesto dell'appuntamento: su sfondo tutto rosso, ritrae il popolare Bobo che imbraccia la chitarra sotto la scritta - parafrasando Guccini - "sulla bacheca, audace - l'Unità".

venerdì 23 marzo 2012

Black Tarantella

Due strofe in dialetto modenese, e una terza sempre in dialetto ripetuta in fondo al brano, sulla storia di un muratore campano che “sale” al Nord lasciando famiglia e cuore nel profondo sud. Capita così che Francesco Guccini appaia come ospite speciale nel nuovo disco di Enzo Avitabile, Black Tarantella, e offra una prestazione grintosa nel pezzo Gerardo Nuvola ‘e povere (Gerardo Nuvola di Polvere), terza traccia del disco in cui con Avitabile duettano anche Bob Geldof, David Crosby e Franco Battiato.

In attesa del nuovo album che a detta dei suoi più stretti collaboratori è già in lavorazione, e di svelare il misterioso arcano che lo avvolge, ovvero se i live del “maestrone” continueranno in futuro dopo l’ultimo sofferto concerto dell’Unipol Arena del dicembre scorso a Bologna, ecco la performance che non t’aspetti, ma che flirta dialetticamente con la passione per il blues e per le radici popolari che il Guccio continua a mantenere vivi con la sua terra.

“A ‘n n’è mica facil laser la ca per cater che so da lavurer (non è mica facile lasciare la casa per trovare quassù da lavorare)”, canta Guccini, “laser paes, i fioo, la muiera, laser il dialatt, laser la vida (lasciare il paese, i figli, la moglie, lasciare il dialetto, lasciare la vita)”. Questi i versi iniziali della parte cantata dall’autore modenese, descrizione fitta fitta di particolari su Gerardo il muratore “terrone” che arriva a Modena ed è subito “estraneo”, politicamente impegnato, anarchico come fosse uscito da La locomotiva, in un tempo non tanto lontano che sembra gli anni settanta.

“Mè a i era sol al so frutarol, ma a i era amigh cun cal terun (Io ero solo il suo fruttivendolo, ma ero amico con quel terrone), perché a ‘n n’era mia ‘na ligera, ma ‘na persouna cun un gran cor (perché non era un poco di buono, ma una persona con un gran cuore)”, proseguono i versi di questo duetto Nord e Sud, Guccini e Avitabile, ritmato a suon di corde pizzicate.

“Sono stato a Pavana è ho fatto ascoltare a Francesco, Gerardo Nuvola ‘e povere”, spiega Avitabile, “E’ la storia quasi vera di un uomo emigrato a Modena, nostalgico di una sinistra che gli garantiva sogni e diritti, morto sul lavoro. Francesco era affascinato dal mio dialetto e mi ha regalato il suono appenninico del suo”.

Dopo la stesura di un vocabolario di pavanese, la traduzione della Casina di Plauto sempre in pavanese nel 1992 e un blues in modenese negli anni settanta, Guccini torna al dialetto come forma linguistica musicale per porre una nuova tappa nel suo palmares d’artista: il duetto con un collega, un po’ come i grandi musicisti pop americani amano fare nei momenti celebrativi.
da Il Fatto Quotidiano

25 marzo 2012 Guccini a Che tempo che fa



Forse per tacitare con apotropaica sovraesposizione mediatica le voci bolognesi che lo davano improvvisamente scomparso come l'amico Lucio, Francesco torna da Fabio Fazio.
Intanto riceve tranquillamente i fan nella primaverile Pàvana e svillaneggia la superstizione accarezzando l'amata gatta nera.

Primo Maggio 1992


mercoledì 14 marzo 2012

Guccini sabato 17 marzo in Valpolicella

VALPOLICELLA - Fa il tutto esaurito Francesco Guccini nella sua visita in Valpolicella, sabato 17 marzo, insieme a Loriano Macchiavelli. Alle 20.45, al teatro Don Mazza di San Pietro, il cantautore emiliano presenta il libro «Malastagione» (Mondadori, 2011), opera a quattro mani con l'amico scrittore. L'incontro culturale, i cui posti erano a prenotazione obbligatoria e sono andati a ruba in pochissimi giorni, è moderato dal giornalista Beppe Muraro e promosso da una cordata di associazioni e gruppi locali: Consorzio Pro loco Valpolicella, premio biennale «Emilio Salgari» di letteratura avventurosa, associazione e rivista «Ilcorsaronero», Valpolicella Terra di Salgari, Valpolicella d'autore e Banca della Valpolicella in collaborazione con Strada del vino Valpolicella, Vivi la Valpolicella, associazione Botta e Risposta e Club accanite lettrici, Utl di Negrar, Pro loco Negrar, Circolo Noi di Bure e di San Pietro in Cariano. A unire tutte queste realtà è il desiderio di dare fiato e vita ad appuntamenti di rilievo, con ospiti di caratura nazionale e internazionale, in un periodo in cui i Comuni hanno poche risorse da destinare alla parte culturale e si respira sempre più voglia tra i cittadini di coesione e collaborazione. «Vogliamo che la Valpolicella sia conosciuta non solo per il vino, ma anche per le iniziative culturali in genere, da abbinare al territorio che produce Amarone e Recioto», afferma il presidente del Consorzio Pro loco, Giorgio Zamboni. In quest'ottica, l'incontro con Guccini e Macchiavelli è una perla preziosa. L'abbinamento cultura-territorio è alla base, inoltre, del Premio Salgari e delle celebrazioni del centenario della morte dello scrittore veronese, seguite in prima linea dal Consorzio. Aggiunge il presidente di Banca Valpolicella: «Ritengo che la crescita di una comunità sia strettamente collegata al benessere culturale che riesce a sviluppare». Sabato sera i due ospiti riceveranno sia il premio Ilcorsaronero, già consegnato tra gli altri a Bjorn Larsson, Paco Ignacio Taibo II, Davide Van de Sfroos ed Ernesto Ferrero, sia una fornitura di Amarone offerto da alcune cantine locali. Un modo indimenticabile per accogliere chi, da buon emiliano, non ha mai nascosto di apprezzare un bicchiere di vino.

di Camilla Madinelli - L'Arena di Verona

mercoledì 7 marzo 2012

Guccini ospite di Mollica, sabato 10 marzo


Sabato 10 marzo su Rai 1 Guccini intervistato da Vincenzo Mollica alle 13:30, segue
videochat

venerdì 2 marzo 2012

Dalla: il ricordo di Guccini

"La notizia della sua morte mi ha sconvolto. E' una perdita gravissima per la musica italiana ma soprattutto perché con lui perdo un amico, un uomo generoso e ironico". Francesco Guccini parla così della scomparsa, oggi, di Lucio Dalla e ricorda il loro primo incontro e i progetti insieme.
"L'ho incontrato per la prima volta quando suonava il clarinetto con gruppi dai nomi come Reno Jazz Band (Casalecchio, ovviamente!), Panigal Jazz Band eccetera. Era la fine degli anni '50. Insieme - racconta all'ANSA - progettammo una radio, negli anni '70, la 'Marconi and company', ma quando la polizia chiuse Radio Alice fummo costretti a lasciar cadere il progetto".
"Una sera - continua Guccini - andammo in macchina a Vergaio, dove abitava Benigni, che allora era agli inizi della sua carriera e faceva 'Cioni Mario', per registrare le sue gag: con i genitori di Benigni tutti intimiditi che ci offrivano il caffé guardandoci come degli alieni materializzati in salotto".

martedì 28 febbraio 2012

Il Lupo del Limentra commuove anche Michele Serra


L’AMACA del 26/02/2012 (Michele Serra).
C’è un video, su Repubblica online, che desta meraviglia e commozione anche nei cinici e negli adulti (i due termini sono spesso coincidenti). È il salvataggio di un lupo trovato assiderato e morente in un fiume dell’Appennino bolognese. Il cuore non batte più. I volontari di un centro di tutela della fauna selvatica (quello del Monte Adone) lo soccorrono. Gli praticano il massaggio cardiaco. Una ragazza gli fa la respirazione bocca a bocca, in una simbiosi uomo-bestia che è mitologia incarnata, e fiaba però vera. Si sente il rumore del fiato, se ne intuisce il tepore nel paesaggio ghiacciato, si scruta il muso del lupo per cercare qualche indizio di vita.Lo portano al caldo, in una casa rurale, lo adagiano su due sedie davanti al focolare. La padrona di casa sorride. Lo asciugano con il phon. Lo trasportano nel centro di recupero. Lo nutrono con le flebo. Si vede il muso affilato riprendere movimento, un orecchio muoversi. Dopo qualche giorno riescono a fargli mangiare un uovo,il rumore della lingua che lappa, per chiunque abbia avuto a che fare con un cane, è una sinfonia. La bestia è salva. Il tutto dura appena un paio di minuti. Bellissimi: bello il lupo, belli i volontari, belli i capelli neri della ragazza che bacia in bocca il lupo e gli ridà la vita.

Da La Repubblica del 26/02/2012.

Koine: la canzone di Guccini è poesia? Su Rai.it