martedì 27 aprile 2010

"Caro il mio Francesco" 11 maggio Liga scrive al Guc


Il Liga si scaglia contro l'ipocrisia di una parte dell'ambiente musicale, tirando fuori il 'mostro' della sua insofferenza verso la "spocchia, lo snobismo e l'incoerenza" di alcuni colleghi e addetti ai lavori. Lo fa in 'Caro il mio Francesco', una lettera-canzone scritta in una notte insonne all'amico Francesco Guccini. Il quale, come racconta il rocker ai giornalisti invitati a Correggio per ascoltare in anteprima il cd, "quando l'ha ascoltata ha commentato 'Liga, eri un po' incazzato!'". In effetti è uno sfogo duro: "Bravi artisti, furbacchioni e topi", recita il testo, "il topo canta solo di quanto lui sia puro / e poi dà via la madre per stare sul giornale/ ed è talmente puro che ti lancia merda soltanto per un titolo più largo". Ce l'ha anche contro chi "senza neanche far finire un ritornello va su Internet a scrivere 'la verita''". Inutile insistere: il Liga non fa nomi. Preferisce affidare la risposta al testo: "Il mio disprezzo me lo tengo dentro , il letamaio è colmo già pubblicamente". E poi , "ma quei presunti puri mi possono baciare queste chiappe allegramente". "Fare nomi significa avere titoli sui giornali - spiega il rocker - questi giochini li lascio fare ad altri. I topi sono quelli che si dichiarano puri ma in realtà per avere un minimo spazio infangano gli altri".

Si limita a citare due 'non-topi': Guccini e De Gregori e osserva. "Non sono il depositario della purezza, ma non ho mai dichiarato di esserlo. Chi ostenta coerenza, lo voglio coerente". Con la maturità, dice, "raccontarsi diventa sempre più il nocciolo del mio mestiere, anche rischiando di essere vulnerabile".

E sorprende chi lo conosce da anni rivelando un segreto molto privato: "Quello di 'Caro il mio Francesco' non é un attacco, ma uno sfogo. Ero molto sensibile, io e la mia compagna abbiamo perso un bambino al sesto mese di gravidanza nel novembre 2008.

Edmondo Berselli su Guccini


«Guccini si è inventato un’altra vita oltre a quella del cantante. Guccini, oltre a essere diventato un maestro dei cantautori, ha costruito altre vite, per se stesso e per gli altri. Per tutti quelli che gli vogliono bene, l’autobiografia sarà un’occasione per conoscerlo ancora meglio: per una conversazione più intima, per una confessione in più».

Quando declamava Dickens la notte di Natale

- Claudio Salvaneschi - Gazzetta di Modena - 27 marzo 2010
«Io racconto questo posto, Pàvana, come era negli anni ’40- ’50, ed era un mondo appartato, rimasto indietro, dove io facevo le mie prime scoperte dentro quella civiltà contadina ancora ben viva e che poi è scomparsa. E lì c’è il mio imprinting, quello sono stato e sono, lì c’è il senso di tutto. Anche dopo averla lasciata con la famiglia, ogni estate ci tornavo negli anni ’60 e ’70. Nel 1970, quando ci sono tornato ad abitare d’estate, stavo lavorando al disco “Radici” e per curiosità ho iniziato a fare anche ricerche storiche sulla mia famiglia». E lì è spuntato il suo primo avo conosciuto, quel Guccino da Montagu del ’500, mugnaio, da cui vengono i Guccini... «Sì, e nel libro racconto di come questi Guccini fossero attaccabrighe e in fiera inimicizia con gli avi di Enzo Biagi, di Pianaccio, con faide anche sanguinose, oltretutto». Da Pàvana a Modena, e per un paio d’anni si è anche ritrovato a fare il giornalista alla “Gazzetta di Modena”, che allora si chiamava “Gazzetta dell’Emilia”. «Ho degli ottimi ricordi della mia esperienza in Gazzetta. Si lavorava molto e nel libro cito anche il primo pezzo che mi diedero da scrivere, i 50 anni di vocazione di una suora, tale Eustachio Maria Peloso... La vita di redazione era divertente, attraverso i telefoni interni ci facevamo anche degli scherzi terribili. Uno telefonava al cronista di nera dando notizia di un omicidio atroce e vedevamo quello balzare subito come una molla per precipitarsi dai carabinieri». Ormai Guccini era già sulla via Emilia... «Sì, ho già capito, tra la via Emilia e il West, vero? Questa è un’espressione da “Piccola città” che ha avuto una certa fortuna, ma io allora intendevo davvero che la dimensione avventurosa della nostra vita iniziava lì, a poche centinaia di metri da casa. Io abitavo in via Cucchiari, dove finiva la strada, poi la via Emilia si allungava in mezzo alla campagna e a noi sembrava avesse un orizzonte sterminato, c’era tutto lo spazio per l’immaginario...» L’immaginario erano i libri e la musica. «Sì, erano i libri, la musica, l’America... Venendo da una cultura popolare, la musica era importante. Non c’era la Tv, le radio erano poche e chi faceva musica rallegrava, gli altri andavano a cercarlo, diventavi un’attrazione e questo mi piaceva». E poi c’era Modena... «Ricordo la noia mortale della Modena di allora, anni ’50 e ’60. Non era molto diversa da oggi, direi. Anche allora la sera era deserta. Cambiava un po’ d’estate, e noi giovani andavamo al parco. Tenga conto che allora i rapporti con le ragazze erano scarsi e ci davamo da fare inventandoci delle cose, c’erano tante idee prese dai film che vedevamo. Un Natale, poi, siamo andati in giro per la città declamando Dickens e ce ne hanno dette di tutti i colori». Nel libro ci sono tanti episodi per capire come cambiano i tempi, come quando racconta dell’amico del cugino di Carpi, un anarchico diventato poi leghista. «A parecchi è successo, anarchici o, soprattutto, comunisti diventati leghisti. Si vede che c’era già il seme dentro...» Qual è l’Italia che vede ora? «L’impressione non è sicuramente buona. Nel dopoguerra c’era molta speranza, i genitori si sacrificavano perchè i figli avessero una vita migliore di quella che avevano avuto loro. Adesso, invece, i genitori devono tirare la cinghia semplicemente per mantenerli, questi figli, che non trovano lavoro o restano precari tutta la vita. Non c’è più fiducia, speranza. Io mi ricordo quanto si ballava nel dopoguerra.... Era un sintomo di ottimismo, di voglia di fare. Oggi non la vedo, più questa voglia». C’è una sua canzone, Cirano, più che mai attuale, con quell’invettiva “venite tutti avanti, politici rampanti, venite portaborse, ruffiani e mezze calze, feroci conduttori di trasmissioni false...”. «Beh, “Cirano” la si può prendere e adattare un po’ a tutti i tempi. Certo, ora è più che mai calzante. E non è un buon segno».

sabato 24 aprile 2010

24 aprile 2010 Guccini da Carlo Petrini

da REpubblica
Dove celebrerà il 25 aprile Petrini?
«Come accade da un po´ di tempo salirò su a Treiso, nell´Alta Langa. Andrò a trovare un gruppo di persone che la Resistenza l´ha combattuta e ogni anno festeggia la ricorrenza. Mi spiace solo che per la prima volta non ci sia più il mitico comandante Paolo, Paolo Farinetti, partigiano in aeternum. Poi alla sera andrò a Cuneo, al teatro Toselli, per partecipare a una commemorazione del 25 aprile organizzata da don Aldo Benevelli. E oggi accompagnerò Francesco Guccini a Fontafredda per assistere alla bella iniziativa messa su da Oscar Farinetti: una lettura di pagine di grandi scrittori dedicate alla Resistenza. In altre parole, noto che il giorno della Resistenza continua a essere rievocato, magari con meno ufficialità, ma stessa partecipazione. Ed è quello che mi fa più piacere».

La prima canzone di Guccini spiegata da lui medesimo

lunedì 19 aprile 2010

Vescovi irlandesi molestano giovini al concerto di Napoli?

di Nello Trocchia
‘Non toccate la resistenza’. Lo ripete come fosse un mantra, ritrovarsi prima che la sinistra farlocca inizi la saga dei rivoli e dei distinguo autolesionisti.Tenersi insieme lungo un tratto identitario, fatto di sguardi, ricordi e storia. La storia per lasciare quella vuota ai finti oppositori che, oggi, si lagnano del regime e, ieri, ne commemoravano l’altro, quello ufficiale del ventennio. La storia non si inventa, ma se la lasci al gelo dei se, forse, ma, diventa fragile, impercettibile, quasi menzognera. E allora canta la storia del Brutto, il partigiano legato al filo spinato, torturato e ammazzato dai nazifascisti lassù in collina: “ Era scalzo, né giacca, né camicia. Lungo un filo alla vita e tra le mani teneva un’asse di legno e con la scritta ‘Questa è la fine di tutti i partigiani’”. Francesco Guccini te lo ritrovi con la sua camicia fuori dai pantaloni, sempre uguale, senza negare ‘l’incedere del tempo’, rifiorisce con lui un’anima collettiva. Nessun intento taumaturgico ‘non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far poesia”. Ma le generazioni ,invocate da più parti, rinsaviscono, si incontrano, condividono. La resistenza come pilastro di un paese, fondamento della nostra democrazia. Preghiera laica, la sua ‘Su in collina’, il racconto di partigiani che trovarono un compagno trucidato dai nazifascisti, padri degli impettiti ministri che, oggi, popolano questo proscenio del ridicolo chiamato ‘governo’. Da Napoli scherza su Apicella, su Berlusconi e con la sua ‘Testamento del pagliaccio’ schiaffeggia i ciarpami di un regime, narra l’inumazione della democrazia e di chi ci ha creduto: “ Poi ci vorrebbe qualche ‘mi consenta’, uno stilista mago del sublime, un vip con la troietta di regime, e chi si svende per denari trenta, un onesto mafioso riciclato, un duro e puro e cuore di nostalgico, travestito da quasi democratico che si sente padrone dello stato”.
Parole chiare, rifugge lo schema, elogia il dubbio, canta l’amore e la ribellione ‘il potere è l’immondizia degli umani’. Dal palco arriva l’irrisione, quando un ragazzo urla, Guccini si chiede: “ Sembra molestato, ci sono vescovi irlandesi nei paraggi?…”. Quella chiesa sbeffeggiata nei suo testi: ‘Da te, dalle tue immagine e della tua paura, dai preti di ogni credo, da ogni loro impostura(…) libera nos Domine”. Nelle sue ballate trovi lo scadimento morale, il diniego tetro, le sortite del basso impero “venite tutti avanti nuovi protagonisti, politici rampanti, venite portaborse, ruffiani e mezze calze, feroci conduttori di trasmissioni false che avete spesso fatto del qualunquismo un arte, coraggio liberisti, buttate giù le carte tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese in questo benedetto, assurdo bel paese”.
Canta il ‘menefrego’ targato anni ‘80, i leoni che tornano in sella “E fecero voti con faccia scaltra a Nostra Signora dell' Ipocrisia perchè una mano lavasse l' altra, tutti colpevoli e così sia! E minacciosi ed un po' pregando, incenso sparsero al loro Dio, sempre accusando, sempre cercando il responsabile, non certo io”.
Senza conati vacui, Guccini, come sempre, ‘non perdona e tocca’. Meglio una battaglia combattuta e persa, sembra dire, che vite e firme chine.

giovedì 15 aprile 2010

La prima volta del Guc...al cinema (dopo la comunione)

Con Petrin a Bra


"Quando ero giovane al cinema non si andava mai – ha osservato il maestro Francesco Guccini - perché c’erano pochi soldi e si risparmiava sulle cose inutili e quindi al cinema non si andava. In due occasioni però sono andato: la prima volta il giorno della prima comunione, la seconda volta in un pomeriggio d’estate dove vicino ad un circolo del tennis con 25 lire potevi assistere a due film. Tutti film ‘meravigliosi’ per i piccoli. Molte volte, per non deludere le aspettative dei miei amici, - ha continuato Guccini - mi inventavo titoli e trame di film mai esistiti e mai visti. Poi crescendo sono andato per conto mio al cinema, anzi ho anche fatto alcune parti, ma sempre in ruoli strani come quello del contadino anarchico con un cordino al posto della cintura, particolare del vestiario che ancora oggi non ho capito”.

mercoledì 14 aprile 2010

Ricordando Renzo Fantini


Concerto Modena 30 giugno 2010

Anche se il sito ufficiale non l'ha confermato è iniziata la prevendita

rece radiowebitalia.it

12/04/2010 - Roma - “Io, figlio d'una casalinga e di un impiegato, cresciuto fra i saggi ignoranti di montagna che sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia, io, tirato su a castagne e ad erba spagna, io, sempre un momento fa campagnolo inurbato, due soldi d'elementari ed uno d'università, ma sempre il pensiero a quel paese mai scordato dove ritrovo anche oggi quattro soldi di civiltà...”. Lo raccontava già nel brano “Addio”, una decina di anni fa circa, chi era e da dove veniva Francesco Guccini. Non era la prima volta che presentava al pubblico le sue origini di uomo di montagna. Questa volta, però, Francesco ha scelto di scrivere qualcosa di più delle strofe ritmate di una canzone che, seppur di ampia valenza poetica, esigono una grande operazione di sintesi. Forse erano troppe le cose da raccontare e, all’età di settant’anni e con più di quarant’anni di carriera sul groppone, la forma canzone era veramente troppo limitante. Perciò è nata “Non so che viso avesse – La storia della mia vita” (Mondadori, pag. 228, euro 18,00), l’autobiografia di Francecso Guccini scritta a quattro mani con l’italianista e poeta Alberto Bertoni, amico storico del cantautore di Pavana. Bertoni si è dedicato soprattutto alla ricerca di testi e al reperimento di ritagli di giornale che riguardassero “il Guccio”: dal quaderno con le prime canzoni inedite agli articoli pubblicati sulla Gazzetta di Modena. Questa autobiografia ricostruisce la storia di Francesco Guccini: i luoghi e le persone che lo hanno visto nascere e crescere. Le radici, la famiglia, il mulino, i nonni e i bisnonni. La sua Pavana, dove ancora oggi chiunque può incontrarlo tra una sagra della bistecca fiorentina e un percorso gastronomico. E ancora Modena, Bologna e via Paolo Fabbri. Le osterie e le balere. Gli amori, la politica e il vino. Il tutto arricchito da storie e aneddoti. Fino alle conseguenze “nefaste” dell’aver smesso di fumare. Da quel che racconta, pare che da quel giorno non riesca più a scrivere e a cantare. Sarà vero?

Salvatore Coccoluto

lunedì 12 aprile 2010

Conversazione sul Mulino di Chicon a Bastiglia MO

BASTIGLIA Museo della Civiltà Contadina
Il mulino dei ricordi - domenica 18 aprile 2010 ore 16.30
Storie di paesi, di mulini e di persone. Conversazioni con Silvano Bonaiuti e Maria Rosa Prandi, autori del libro “Scusi, è questo il mulino dei Guccini?”.
Al termine dell’incontro, visioni e assaggi di pani e di dolci.
Nel 2007, Silvano Bonaiuti e Maria Rosa Prandi – ingegnere lui, assistente sociale lei – hanno “fermato” sulle pagine di un libro la storia di un mulino di fine ‘800 a Pavana, nella montagna pistoiese: “il Mulino dei Guccini”, ricordato nelle canzoni del loro celebre cugino, il cantautore Francesco Guccini.
Informazioni: tel. 059 904866 (Museo) - 059 800912 (Comune), museo@comune.bastiglia.mo.it

S'ciao Edmondo. Se ne va anche Berselli

domenica 11 aprile 2010

9 aprile 2010 Attilio Galgano racconta il concerto di Napoli

Invece di pensare alla maturità che incombe fra meno di cento giorni Attilio Galgano ci racconta per filo e per segno il concerto di Napoli. Compreso l'incontro con il figlio di Renzo Fantini che lo accoglie nei camerini del "Maestro".

Quando Francesco voleva cambiare la EMI dal di dentro.


Per star bene al mondo ci vuole: colletto bianco e sasso tondo (la macina da mugnaio). Saggezza pavanese e tanta pazienza, così FRancesco si sottopone all'intervista di Fegiz (che lo accoglie fumandosi una cicca). Più o meno le stesse domande di sempre, anche se tra le righe emerge che FG oltre che lo scrittore o il giornalista o il professore, tra i mestieri possibili si era immaginato anche quello di consulente artistico della Emi.

sabato 10 aprile 2010

9 aprile 2010 Panorama - intervista di Silvia Tomasi

Chi è un mito? Chi ti fa scorrere lungo la schiena un brivido quando lo vedi, e questo Guccini lo provoca.
Per comprenderlo, bastava vedere a Modena la folla accorsa in massa, assiepata, quasi a strati al forum Monzani per la presentazione del suo ultimo libro, Non so che viso avesse scritto a quattro mani con Alberto Bertoni, poeta e italianista, prezioso e felino esegeta dei testi delle sue canzoni.

Sul palco accanto a Guccini, il Liga, il rocker Luciano Ligabue, Guido De Maria, creatore dei testi di oltre mille storici Caroselli e Valerio Massimo Manfredi, l’autore di romanzi-bestseller, tutti per festeggiare i settant’anni di Guccio e per riandare lungo la storia della sua vita, attraverso una vanvera padana, fra amici, sul crinale dell’ironia; e di crinali Guccini se ne intende perché le Radici di Francesco sono fra quella Via Emilia che spacca Modena in due - qui il cantautore nasce nel 1940 -e il West di Pàvana, paese-matrice della famiglia dei Guccini , “munari”, cioè mugnai, tutti discendenti da un cinquecentesco Guccino di Montagu’, bandito, come si racconta nella autobiografia. Pàvana, sul crinale fra Emilia e Toscana, è ancor oggi il suo luogo dell’anima.

Il libro corre, corre come una locomotiva, per 17 capitoli , per guardarsi indietro e cogliere in distanza quei passaggi dove dalla vita iniziale e “dei soldi in tasca niente” cambia tutto.

Ci sono i nonni, le nonne e i bisnonni, il bosco, il fiume, la montagna, la guerra.
C’è Modena, Piccola città bastardo posto. C’è via Paolo Fabbri 43, a Bologna, “donna emiliana di zigomo forte, che sa dov’è il sugo del sale”, “una vecchia signora dai fianchi un po’ molli col seno sul piano padano e il culo sui colli”. E poi i ricordi delle osterie bolognesi, sopra a tutte quella delle Dame e l’amore per i vini, i rubini rosè in particolare.

Guccini, quali sono i modelli e i miti che costruiscono il suo “ritratto dell’ artista da giovane”?
Innanzitutto, e su tutto, l’America. Era il mito. Noi leggevamo libri americani, ascoltavamo musica americana, guardavamo film americani. Sapevamo quasi a memoria Caldwell, Hemingway, Doss Passos e Steinbeck, molti di questi testi li leggevo alla biblioteca dei postelegrafonici di Pàvana. Ma l’innamoramento vero era già avvenuto nell’autunno del ‘44, durante la guerra, quando sulla Linea Gotica erano arrivati gli americani in carne e ossa.

La sua autobiografia è anche una saga di famiglia che rievoca antiche faide. Ad esempio quella con la famiglia di Enzo Biagi…
Il mio cinquecentesco progenitore Guccino era originario di Montagù, ossia Montacuto delle Alpi, un bellissimo paesino arroccato sul crinale appenninico sovrastante Pianaccio, il paese dei Biagi. Un certo Biagio Biagi uccise tal Tognarello Guccini e da lì iniziò una faida tra le due famiglie che si protrasse a lungo.

Dalle radici pavanesi all’infanzia modenese: con amici come Victor Sogliani e Alfio Cantarellla della nascente Equipe 84, o Bonvi, lo stralunato fumettista delle Sturmtruppen. Che cosa c’era di speciale nella Modena di quegli anni?
Non saprei dire, eravamo degli adolescenti nati attorno alla via “Emiglia”, mi raccomando: col gi elle come si dice da quelle parti!- che avevano scoperto il jazz e il rock and roll. Suonavamo nelle balere e ci divertivamo a fare scherzi terribili. Allora non pensavo che avrei fatto il musicista, tanto meno il cantautore di professione. Sognavo di diventare scrittore o almeno giornalista, e per un periodo lavorai come precario alla Gazzetta dell’Emilia, dalla quale ebbi anche il privilegio d’essere licenziato e poi riassunto nel giro di dieci minuti.

Quale molla la spingeva al giornalismo?
La reazione a quello che un mio insegnante, il maestro Paltrinieri, aveva dichiarato platealmente a mio padre : “Cosa vuole fare suo figlio? Lo scrittore? Se lo scordi: è un cane!”. Nemo propheta in patria est.

E veniamo all’apprendistato nelle balere: altroché eskimo e maglioni da pecatore! Si favoleggia che la sua prima apparizione come cantante-musicista sia avvenuta con una giacca a lustrini, un autentico prodigio del kitsch. O mi sbaglio?
Alt, si fermi: rimettiamo le cose a posto. La famigerata giacca con i lustrini ce l’aveva addosso Alfio Cantarella. La mia, se permette, era a pagode orientali.

Dalle balere modenesi alle osterie di Bologna: una carriera ad alta gradazione alcolica, oppure solo rosé, come insinua il suo amico Ligabue?
Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Sappia comunque che anche il mio compenso per la partecipazione a Radio Freccia, il film del Liga, me lo sono fatto versare in vino, presso una fidata bottiglieria di Bologna dalla quale ho continuato a prelevare a lungo.

Genio e sregolatezza: quasi un cliché per un cantautore. Ma quali sono stati i modelli del giovane Guccini che, più o meno all’età del servizio militare, scrive canzoni come L’antisociale, Auschwitz e Dio è morto?
Amavo innanzitutto i francesi: Georges Brassens e Jacques Brel, il suo Ne me quitte pas fu un’esperienza sconvolgente. Poi ecco irrompere Bob Dylan. Ci ha spalancato le porte della contestazione studentesca e della canzone di protesta, influenzando molto il modo di comporre di quel periodo: eravamo dylaniani fino al midollo.

Poi Guccini è diventato Guccini. Ossia un caposaldo della canzone d’autore e un mito transgenerazionale…
In effetti, se oggi il numero di aspiranti cantautori è impressionante, io e De André qualche responsabilità ce l’abbiamo…

Ma non c’è solo il Guccini cantautore: da Croniche epafaniche a Vacca d’un cane, da Cittanova blues ai gialli scritti a quattro mani con Loriano Machiavelli, anche il suo giovanile sogno di scrittore s’è più che mai realizzato. C’è qualche nuova sorpresa in arrivo?
Sto lavorando con Loriano a un giallo appenninico, protagonista una guardia forestale.

E le canzoni?
M’affretto lentamente.
E quell’infame sorrise.

* silvia.tomasi

mercoledì 7 aprile 2010

7 aprile 2010 Modena City Ramblers alla Nazione

SIAMO ONORATI DI ESSERE DEFINITI FIGLIOCCI DI GUCCINI
MA BELLA CIAO NON L'ABBIAMO SCRITTA NOI

Firenze, 6 aprile 2010 - «I NOSTRI FAN? Siamo molto orgogliosi che l’abbiano definito il “pubblico degli zainetti”. E’ una terminologia messa insieme anni fa per definire chi viene ai nostri concerti. E chi ci segue».
Francesco Moneti da Arezzo è uno degli storici fondatori dei Modena City Ramblers, gruppo che sarà ospite all’auditorium de La Nazione domani 7 aprile alle 16,30 , per un incontro coi lettori a ingresso libero (info: 055 2495656. orario ufficio ) dei tanti appassionati di uno dei gruppi di punta del rock italiano.
Francesco, facciamo il nome anche dei suoi colleghi...
«Sul palco siamo sette: io suono il violino, Franco D’Aniello, flauto; Dudu Morandi, cantante; Roberto Zeno, batterista e Massimo Ghiacci bassista. Dicamo che siamo gli elementi storici. Poi nella formazione sono entrati Leonardo Sgavetti alla fisarmonica e Luca Serio Bertolini alla chitarra».
Tifo da stadio dagli ’zainetti’?
«Ma davvero tanto...E’ carina questa cosa: i ragazzi vengono ai nostri concerti e si portano dietro, appunto, dai panini ai quaderni. Proponiamo un folk rock che amano molto tifano per noi. Non ci perdono d’occhio e sanno tutto. A parte i più giovani abbiamo un pubblico anche di trentenni. Difficile che i nostri coetanei — noi abbiamo tutti sui 40 — conoscano le nostre canzoni come loro».
Che sia un ricambio generazionale?
«Sicuramente è così: per quelli che oggi hanno sui sessant’anni i riferimenti erano altri, diversi più politicamente impegnati».
Tipo Guccini?
«Esatto. Anche se in molti ci hanno definiti i figliocci di Guccini. E la cosa non ci disturba affatto, anzi. Il paragone con un grande come lui è un onore».
Dagli anni ’90 a oggi avete avuto successo anche tra gli scout...
«Abbiamo notato che da qualche anno arrivano ai nostri concerti ragazzini coi genitori che spesso stanno in fondo ad ascoltare o restano fuori in auto. Gli scout? Sarebbe interessante sapere quali sono le canzoni che preferiscono. Siamo tutti molto curiosi. Ci piacerebbe molto che venissero al nostro incontro di domani, e ci raccontassero di loro, delle scelte delle canzoni preferite».
Un’ideuzza sulle loro scelte?
«Secondo noi potrebbero cantare canzoni tipo La Strada che racconta di amicizia allentata. Cantiamo l’abbandono di un gruppo: in fondo a tutti è capitato di aver perso un amico o che sia andato a studiare in un’altra città. Questa canzone potrebbe essere stata scelta dagli scout. Come alcuni pezzi nostri, che raccontano l’amore universale. Noi comunque li aspettiamo domani».
MCR: è come se i più giovani volessero sentire il richiamo verso una nuova etica...
«Che è andata scomparendo, è vero. Come dar loro torto? Anche l’inizio dei concerti ad esempio: non si capisce perchè in tutte le capitali europee si fanno verso le 19, le 20 e in Italia dalle 23. Non ci lasciano neppure il tempo di parlare con il pubblico, siamo tutti troppo stanchi. Anche per noi sono orari da vampiri».
Una cosa buffa successa?
«Ci hanno chiesto e non una volta sola, se Bella Ciao fosse una nostra canzone».
Titti Giuliani Foti

giovedì 1 aprile 2010

Loriano Macchiavelli, montagna e tecnica narrativa.

In attesa dell'uscita del prossimo libro scritto a quattro mani con Guccini, che avrà per protagonista non il maresciallo Santovito ma un forestale, facciamoci spiegare da Loriano i suoi
trucchi narrativi.