lunedì 5 luglio 2010

“La và mèl e po’ la crass”

Sempre dall'amico Lauro Venturi la cronaca del backstage e del concerto di Modena.

3 ottobre Guccini ritira il Premio Chiara

Il «Premio Chiara» si sdoppia e da una sua costola nasce un nuovo premio, «Le parole della musica», sostenuto dall'etichetta «Ghost Records», che ogni anno sarà assegnato a un cantautore italiano o straniero. Il primo vincitore è Francesco Guccini, fresco settantenne, che il prossimo 3 ottobre arriverà a Varese a ritirarlo, in un pomeriggio che si annuncia epocale, organizzato in collaborazione con il Premio Tenco e a cui parteciperanno Enrico De Angelis e Antonio Silva, tra le "colonne" del Club Tenco.
http://www.ilfestivaldelracconto.it/premiochiara/Edizione_2010.asp

giovedì 1 luglio 2010

Bastardo posto

http://www.ilpost.it/stefanomenichini/2010/07/01/bastardo-posto/

È stata una bella festa. Un buon concerto. Una serata speciale per un sacco di gente (per esempio per mio figlio, dodici anni e il suo primo concerto live). E naturalmente, nonostante l’allergia del festeggiato agli eventi, è stato un evento.
Poteva essere addirittura un grande evento, se Francesco Guccini avesse accolto la disponibilità di amici come Ligabue e Vinicio Capossela a suonare con lui mercoledì 30 sera in Piazza Grande a Modena, nel concerto che allo stesso tempo celebrava i suoi settant’anni e il ritorno nella città d’origine (ok, sappiamo tutto, lui in realtà è di Pavana, dunque collina, e con la pianura ha avuto sempre una relazione contrastata, con Modena poi non ne parliamo, piccola città bastardo posto eccetera).
Invece Guccini non ha voluto i big con sé a festeggiarlo. Lui è fatto così, del resto non fosse stato per l’ostinazione di Roberto Alperoli, assessore modenese alla cultura, il concerto dei settant’anni non l’avrebbe fatto proprio, e dunque che Ligabue e Capossela siano rimasti sotto al palco (e poi per la cena infinita del dopo) rimane un dettaglio. La dimensione celebrativa è rimasta ai margini per volontà del celebrato. Volevano venire anche Zucchero, Stefano Benni e tutto lo star system all’emiliana, ma poi tante date non coincidevano e soprattutto lui non era affatto ansioso. A parte i citati, più Carlin Petrini, Enzo Iacchetti e qualcun altro, il resto dei presenti era il popolo gucciniano.
Seimila persone in piedi nella piazza, caldo umido che solo in Emilia, età media ovviamente alta con la consueta compiaciuta sorpresa di quanti giovani, ragazzi e ragazzini si presentino sempre a sentire il poeta delle osterie (“veramente mai stato un grande esperto di osterie”, dice lui per vezzo), conoscendo ogni parola di ogni canzone a parte quelle più ignote e recenti che Guccini piazza implacabile in una scaletta che non ammette deroghe né concessioni.
In effetti, almeno nel cuore di Modena “Piccola città” avrebbe potuto farla, ma da decenni non entra più nei concerti (“e poi a Flaco non piace”), dunque niente. Si erano rassegnati dalla vigilia quelli del Comune, che dalle finestre del loro palazzo hanno allora appeso volentieri un altro striscione di saluto con citazione annessa: “Però non la sopporto la gente che non sogna. Modena ringrazia Francesco”. In effetti, sai che imbarazzo dover appendere “Piccola città, bastardo posto”…
Lasciato il Liga a sudare sotto al palco, il regalo del festeggiato ai modenesi è stato in stile con la mania autobiografica dell’ultimo Guccini (ma in realtà anche del primo, del secondo, del terzo…): la chiamata sul palco di un antico rocker locale, Franco Fini, già immortalato sulle pagine dell’autobiografia gucciniana come l’unico della zona capace di eseguire alla perfezione l’assolo di Be-pop-a-lula. E questo abbiamo avuto: l’assolo del vecchio rocker innamorato dell’America, cinquant’anni dopo.
Per i seimila è stata una bellissima serata. Abbiamo avuto la conferma di una voce e di un’energia mai diminuite (mio figlio di questo era sbalordito: davvero ha settant’anni?), abbiamo sentito qualche vaga battuta su Berlusconi e sulle leggi bavaglio ma soprattutto la selezione del repertorio che aspettavamo: da Canzone per un’amica alla obbligatoria Locomotiva finale, passando per Auschwitz, Dio è morto, Cyrano, Incontro, Farewell, Canzone quasi d’amore, Don Chisciotte, le Osterie fuori porta e l’Eskimo innocente, senza Che Guevara ma con due ormai non-più-così-inediti. Cioè Il testamento del pagliaccio, ironia sull’Italia berlusconica, e Su in collina, un pezzo del 2007 sulla lotta partigiana.
In Piazza Grande la canzone sui partigiani non la conoscono, dunque non si alza alcun pugno chiuso. Ce ne saranno in abbondanza alla fine, quando quel famoso ferroviere cercherà di recapitare la giustizia proletaria ai passeggeri di un Frecciarossa ante litteram. E quando un ragazzino dodicenne vedrà allibito, per la prima e credo unica volta, il suo cinquantenne padre salutare come un perfetto comunista.

il mio amico Wiligelmo

Modena, 1° luglio 2010. Il resto del carlino
UNA PIAZZA Grande stracolma di gente, ben oltre il numero dei posti a sedere, ha accolto Francesco Guccini per il suo attesissimo concerto, la prima volta per lui in piazza, che voleva essere anche un regalo per i suoi 70 anni compiuti il 14 giugno. Anche se lui ha cercato in tutti i modi di schermirsi. «Vi hanno ingannato, questo è un concerto come tutti gli altri — ha detto — e io sono il solito cialtronaccio. I miei musicisti non si reggono in piedi...».


Poi Guccini ha osservato la piazza che lo circondava. Dalle finestre del Municipio pendeva un grande striscione che riportava un verso della sua Cirano: ‘Però non la sopporto la gente che non sogna. Modena ringrazia Francesco’. Poi il cantautore ha notato una sorta di coreografia. «Palloncini? Ma si’ maat», ha scherzato in dialetto.

Subito dopo, uno sguardo al Duomo: «E’ bellissimo — ha detto Guccini — anche se non l’ho fatto io, Ma la mia età è quella, Wiligelmo era mio amico». E ancora, l’artista ha fissato lo sguardo su un punto lontano: «In quell’angolo là una volta c’erano i contrabbandieri».

Bastardo post.

Canzoni, applausi e commozione in piazza.
Pace fatta con Modena, "piccola città bastardo posto"
FRANCO GIUBILEI per La Stampa 1 luglio 2010

MODENA
Avrà pure compiuto settant’anni da pochi giorni, sarà anche nella sua città natale per la prima volta dopo decenni (tanto che l’ultimo concerto modenese viene fatto risalire agli Anni Settanta, forse ce n’è stato un altro a metà Novanta: segno che il vecchio astio cantato in Piccola città non si è mai placato?) ma per Francesco Guccini questo è uno show come tutti gli altri, nonostante piazza Grande sia stipata all’inverosimile e il parterre sia pieno di ospiti di riguardo, da Luciano Ligabue a Carlin Petrini a Enzo Iacchetti. Erano annunciati anche Vinicio Capossela e Zucchero ma all’inizio del concerto non sono venuti a rendere omaggio al maestro come gli altri, fra un bicchiere di vino rosso e un tocco di parmigiano reggiano.

Guccini si confessa prima del concerto, rispondendo a precisa domanda: «Non sono per niente emozionato, è un concerto come tutti gli altri e non è neanche il primo che faccio a Modena, queste sono le leggende dei media, ne ho fatti almeno altri quattro». Poi lo ripete anche davanti a seimila persone: «In questa piazza che ho percorso in lungo e in largo tanti anni fa. Io temo che siate stati igannati dai media, questo è un normale concerto, non è un avvenimento, e gli anni li ho compiuti il 14 giugno, quando li compie anche Bonolis: e lo so, non si può aver tutto dalla vita». Scherza sulla sua età, che accomuna a quella della Ghirlandina, il campanile del Duomo romanico, «questo simbolo fallico...». E siccome le prime file non vogliono saperne di sedersi e il resto del pubblico seduto rumoreggia, lui incoraggia a modo suo gli irriducibili sotto il palco: «Così si resiste alla folla! Lo sta facendo anche Brancher, lo faranno ministro ai piccioni viaggiatori». E attacca la musica, la sua musica per cui si sono mossi a migliaia e in tanti sono rimasti fuori dalla piazza, perché i biglietti sono andati tutti esauriti, volati via in pochi giorni: un brano vecchio quasi quanto lui, Canzone per un’amica, in morte di S.F., con quel vocione profondo inconfondibile e l’erre moscia a grattare «lunga e diritta correva la strada...».

Dice che non è un evento e probabilmente lo pensa davvero, perché l’uomo è autenticamente schivo e diceva sul serio quando ripeteva che nei settant’anni appena compiuti non c’è proprio niente da festeggiare, eppure il grande concerto è nell’aria, è nell’attesa dei suoi fedelissimi, un pubblico così trasversale che più trasversale non si può per età – dai venti ai sessanta, a occhio e croce, cioè nonni, babbi e figli – ma motivatissimo nella passione.

Arriva Osterie di fuori porta, tutta impregnata dei sapori del periodo bolognese e il pensiero va a un’altra canzone storica che è la sua dedica velenosa e spietata alla Modena da cui fuggì per cercare rifugio e fortuna a Bologna, cioè la «piccola città bastardo posto».

La farà, non la farà? I suoi amici storici, fra cui il poeta Alberto Bertoni, gliel’hanno chiesta in modo pressante, al punto da promettere un coretto sotto il palco se Guccini avesse fatto resistenza. Al che si vocifera che lui avrebbe minacciato di eseguire Bologna, che nella città confinante risuonerebbe una specie di oltraggio, considerate le antiche rivalità di campanile. Ma in realtà non c’è spazio per polemiche e metaforici calci negli stinchi e il concerto fila via liscio fra applausi e acclamazioni, perché se la leggenda vuole che Guccini malsopporti la città che gli ha dato i natali, Modena stavolta è tutto ai suoi piedi. E Francesco ricambia a modo suo, chiudendo come sempre fa, con La locomotiva.