di Nello Trocchia
‘Non toccate la resistenza’. Lo ripete come fosse un mantra, ritrovarsi prima che la sinistra farlocca inizi la saga dei rivoli e dei distinguo autolesionisti.Tenersi insieme lungo un tratto identitario, fatto di sguardi, ricordi e storia. La storia per lasciare quella vuota ai finti oppositori che, oggi, si lagnano del regime e, ieri, ne commemoravano l’altro, quello ufficiale del ventennio. La storia non si inventa, ma se la lasci al gelo dei se, forse, ma, diventa fragile, impercettibile, quasi menzognera. E allora canta la storia del Brutto, il partigiano legato al filo spinato, torturato e ammazzato dai nazifascisti lassù in collina: “ Era scalzo, né giacca, né camicia. Lungo un filo alla vita e tra le mani teneva un’asse di legno e con la scritta ‘Questa è la fine di tutti i partigiani’”. Francesco Guccini te lo ritrovi con la sua camicia fuori dai pantaloni, sempre uguale, senza negare ‘l’incedere del tempo’, rifiorisce con lui un’anima collettiva. Nessun intento taumaturgico ‘non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far poesia”. Ma le generazioni ,invocate da più parti, rinsaviscono, si incontrano, condividono. La resistenza come pilastro di un paese, fondamento della nostra democrazia. Preghiera laica, la sua ‘Su in collina’, il racconto di partigiani che trovarono un compagno trucidato dai nazifascisti, padri degli impettiti ministri che, oggi, popolano questo proscenio del ridicolo chiamato ‘governo’. Da Napoli scherza su Apicella, su Berlusconi e con la sua ‘Testamento del pagliaccio’ schiaffeggia i ciarpami di un regime, narra l’inumazione della democrazia e di chi ci ha creduto: “ Poi ci vorrebbe qualche ‘mi consenta’, uno stilista mago del sublime, un vip con la troietta di regime, e chi si svende per denari trenta, un onesto mafioso riciclato, un duro e puro e cuore di nostalgico, travestito da quasi democratico che si sente padrone dello stato”.
Parole chiare, rifugge lo schema, elogia il dubbio, canta l’amore e la ribellione ‘il potere è l’immondizia degli umani’. Dal palco arriva l’irrisione, quando un ragazzo urla, Guccini si chiede: “ Sembra molestato, ci sono vescovi irlandesi nei paraggi?…”. Quella chiesa sbeffeggiata nei suo testi: ‘Da te, dalle tue immagine e della tua paura, dai preti di ogni credo, da ogni loro impostura(…) libera nos Domine”. Nelle sue ballate trovi lo scadimento morale, il diniego tetro, le sortite del basso impero “venite tutti avanti nuovi protagonisti, politici rampanti, venite portaborse, ruffiani e mezze calze, feroci conduttori di trasmissioni false che avete spesso fatto del qualunquismo un arte, coraggio liberisti, buttate giù le carte tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese in questo benedetto, assurdo bel paese”.
Canta il ‘menefrego’ targato anni ‘80, i leoni che tornano in sella “E fecero voti con faccia scaltra a Nostra Signora dell' Ipocrisia perchè una mano lavasse l' altra, tutti colpevoli e così sia! E minacciosi ed un po' pregando, incenso sparsero al loro Dio, sempre accusando, sempre cercando il responsabile, non certo io”.
Senza conati vacui, Guccini, come sempre, ‘non perdona e tocca’. Meglio una battaglia combattuta e persa, sembra dire, che vite e firme chine.
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