giovedì 14 aprile 2011

Non poeta, ma RAPSODO

Stefano Rotta Gazzetta di Parma, 6 aprile 2011
Lo dice quasi spaventato, con il rispetto che si prova per una cosa più grande di sé: «Non sono un poeta». Francesco Guccini è un rapsodo: o così l’avrebbero chiamato i greci, amanti di versi viandanti, veri, forti e per niente istituzionali. La chiacchierata per presentare il concerto del 14 aprile, parte da qui: dalle isole ioniche, da Itaca, dalle avventure di sale e sole narrate da Omero.
Lei ha scritto «Odysseus», ritratto di un eroe acheo ribattezzato dai romani Ulisse. Un florilegio di citazioni letterarie, ma anche la storia di un uomo vero e un poeta cieco, guardati dritti negli occhi. Chi oggi è Odysseus?
«Di gente che parte ce n'è ancora. Avventure estreme, esplorazioni strane, per oceani a remi o alla scoperta di nuovi camminamenti montani. Ma l’Odissea è una gigantesca metafora. E’ il cercare qualcosa in più. Spingersi oltre. Anche nella vita quotidiana, che spesso ricalca il mito»
Gli accenni all’«anima contadina», all’«isola petrosa», il verso «il vino e l’olio erano i miei ori», riportano a un mondo che forse lei ha ritrovato in Appennino. Racconti...
«Ho scelto di vivere nelle montagne che mi hanno visto bambino. E’ una vita profondamente diversa da quella della città. Meno caos, rumori, velocità. Ma soprattutto ci si saluta, anche fra sconosciuti. Ognuno qui ha la sua fetta di Appennino, un fiume, un monte, un bosco... ».
Appennino e Resistenza. Cosa vuol dire oggi esser partigiano?
«Cercare di opporsi a chi sta distruggendo quanto fatto dai padri. Un’Italia democratica e libera. Per esempio, difendere la Costituzione»
Appennino ed emigrazione. Perché talvolta non ci si dimostra pronti ad accogliere?
«L'uomo, non tutti per carità, guarda pochi metri accanto a sé. E si scorda presto. La storia è maestra di pochi. Insegna poco davvero, a noi italiani. Siamo partiti con le pezze al culo, e adesso ci dimentichiamo che chi viene qui ha la stessa faccia di noi cento anni fa. Ecco, Odysseus su questo avrebbe qualcosa da dire»
La Locomotiva. Una canzone che va fatta per forza, o la sente ancora?
«Tutt'e due. Certo, se la cantassi da solo in casa sarei un matto. Ma vedere tanta gente in piedi: è un pezzo che ha bisogno del pubblico come spalla. Ci vuole simbiosi»
Che effetto fa vedere ragazzi, di mezzo secolo più giovani di lei, che la cantano, al di là delle idee politiche?
(Si imbarazza, e poi dice) «Certe cose rimangono, se Dio vuole. I poeti si leggono dopo secoli. Io non sono un poeta, forse non arriverò ai prossimi secoli (sorride, ndr). Prima o poi si smetterà di cantare la Locomotiva. Ma che bello, vedere questi ragazzi con i telefonini, i computer, un nuovo linguaggio, che cantano quelle parole...»
Dov'è la poesia nel 2011?
«Domanda curiosa. Non so dove stia di casa. La poesia parte da dentro di sé. Fuori dalla finestra si sta risvegliando il torrente dall’inverno. Ma anche i muri vecchi e sporchi di una città, possono essere poetici, se negli occhi c'è poesia che guarda».
Altro verso mitico. «Piccola città, bastardo posto». E’ Modena, negli anni Cinquanta. Va bene pure per Parma?
«Non la conosco bene, non posso dirlo. Nella mia fantasia, Parma è sempre stata una città elegante, con persone che girano... (cerca le parole, non ne trova, decida il lettore come girano i personaggi di Parma nella fantasia di Guccini, ndr). Sì, se ci fossi stato allora, sarebbe interessante il paragone».
Come sarà il concerto?
«Niente note particolari. Spero ci sia pubblico, si riempiano le sedie. E’ una spalla indispensabile».

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